Basilica di San Michele
Esplorando la Magnificenza: La Basilica di San Michele a Pavia
E’ il più insigne monumento dell’architettura lombarda in Lombardia.
Lo stile lombardo raggiunse in questa basilica il suo compimento, soprattutto per l’uso delle loggette praticabili che ne adornano l’abside e il frontone lungo la pendenza del tetto.
Non si hanno documenti circa la sua fondazione prima e la sua riedificazione. Si ha da Paolo Diacono che una chiesa di S. Michele Maggiore esisteva a Pavia din dalla seconda metà del secolo VII (661) ma l’odierna basilica a volta a che età appartiene? Il Ruskin crede l’odierno S. Michele quello del secolo VII, il Robolini e il Dartein del secolo X, il Cordero di S. Quintino e il Merkel del secolo XI.
Oggi prevale l’opinione del Cattaneo, il quale, dopo aver notato che il S. Michele non presenta nulla che sia anteriore al Mille, aggiunge Il progetto artistico che presentano le sculture di questa chiesa rispetto con quelle di S. Pietro in Ciel D’ oro, chiesa che fu consacrata nel 1136, mi persuadono a credere che il S. Michele di Pavia sorgesse appunto nel principio del secolo XII, e forse dopo il famoso terremoto del 1117, che abbattè tante chiese dall’alta Italia e provocò quindi tante ricostruzioni.”
L’esame artistico, osserva il Rivoira, dimostra l ‘età del S. Michele posteriore a quella della chiesa di Rivolta d’Adda (1088-99) e del S. Ambrogio di Milano (1088-1128): perché,oltre al riscontrarsi un organismo più sviluppato, palesa nelle rappresentazioni figurate un notevole progresso su quelle del Duomo di Modena (1099-1106). E’ anteriore di qualche anno alla chiesa di S. Pietro in Ciel D’Oro: come dimostra, se non altro, il confronto della figura d’arcangelo che sovrasta al portale di questa chiesa, con le figure consimili dei portali del S. Michele, o il confronto delle sculture animali dei capitelli delle due chiese.
Come risulta da documenti del Museo Civico, la chiesa fu risarcita e rifatta nel 1489 dal maestro Argentino de Candia, figlio di quel maestro Giacomo, che aveva con un suo fratello costruito nel 1487 l’odierna copertura centrale del S. Pietro in Ciel D’Oro. Nel S. Michele furono rifatte le volte centrali riparate le laterali; si lavorò ai contrafforti al coronamento della chiesa, al tiburio, al presbiterio, e alla tribuna, e si rafforzarono mediante chiavi di ferro le due botti del transetto: nei quali rimaneggiamenti fu adoperato il laterizio, mentre la precedente costruzione è in pietra calcare arenaria. “Nella sua veste originaria – scrive il Rivoira – Il San Michele, che è a croce completa con la crociata a bracci molto allungati, spartita in tre navi e nei matronei, da botti nei bracci della crociera e nel vasto presbiterio, da una scodella nella tribuna, da una cupola ottagona sostenuta da pennacchi lombardi a due riprese nel quadrato normale.” La cupola di S. Michele “ è il più antico modello di grande cupola lombarda di transetto completa e ingentilita, che si conservi tra noi e nei paesi d’ oltremonte”.
Fu restaurata questa basilica dal 1870 al 1875 per opera specialmente dell. S. Dell’ Acqua.
La facciata è spartita da lesene e cordonate cilindriche in tre parti, corrispondenti alle tre navi; ha al sommo una galleria di archetti rampanti, manca della cornice di coronamento; tra tutte le facciate delle chiese romaniche è la più ricca di decorazioni scultoree: vera visione apocalittica, come il Venturi la chiama, espressione di atroci paure, di sogni angosciosi e di trepide speranze. Le tre porte hanno gli stipiti e l’arco coperti di mostruose sculture: strani ornamenti, pesci a coda di serpe, sagittari, grifi, uomini e mostri in lotta. Al sommo dell’arco della porta maggiore, un arcangelo; al sommo dell’arco delle porte minori, le immagini di sant’ Ennodio e di san Nicolao: un arcangelo entro ciascuna lunetta delle tre porte.
Tra l’una e l’altra porta, nella parte inferiore del fronte, più zone decorate, disposte asimmetricamente: di questa dissimmetria le maestranze comacine si valsero come elemento decorativo, si potrebbe scrivere a lungo. Il Ruskin connetteva le rappresentazioni bestiali di questa facciata “con le abitudini del mangiare e del bere proprie del lombardo, e specialmente con la sua attitudine carnivora”! Chi le studiasse a una a una e tentasse poi classificarle troverebbe che alcune sono bibliche, altre realistiche e perfino oscene (immagini di vita domestica, scene di guerra, di caccia e di pesca, rappresentazione di mestieri, feste cittadine, trionfi), altre simboliche (motivi tolti a’ bestiari) o puramente ornamentali. Questa fauna mostruosa simboleggia la gran varietà del male; ma è anche un primo rozzo tentativo di riavvicinamento dell’arte all'anatema zzata natura. Il Dartein, pur ammirando quest’ arte ingegnosa, facile, abile dei nostri incolti maestri, che facevano da sé, dice che ha minor valore morale di quella che dei maestri che ornavano le chiese romaniche francesi di sapienti rappresentazioni suggerite dal clero.
Quest’ arte, egli dice, “parla all’immaginazione più che all’intelligenza e al sentimento religioso.”: il che, lungi dal parere un biasimo, suona per me lode, lode dell’arte vera, libera da ogni preoccupazione etica e religiosa.
La porta della facciata di settentrione si adorna di simili sculture; e nell’architrave ha due angeli sostenenti una medaglia che contiene l’immagine del Salvatore con le braccia aperte, fiancheggiata da due altre medaglie con le immagini dei santi Nicolao ed Ennodio; e nel timpano ha un angelo. La più bella ornata elegante porta è quella, murata, del lato meridionale: nel timpano è effigiato il Salvatore che porge con la destra una pergamena a San Pietro. D'un scultore posteriore, probabilmente della fine del secolo XII o del principio del seguente, è l'annunciazione, che si vede nello stesso fianco meridionale scolpita in marmo veronese.
Si son notate non so quali tracce di arianesimo in questa scultura, rappresentante La Vergine che guarda Gabriele, mentre un’ancella le sta seduta dinanzi. Dei capitelli dell’interno notevole è quello del quarto pilone della navata sinistra, raffigurante la morte del giusto.Nella nostra chiesa pajono al Rivoira “osservabili le basi dei sostegni, dove le appendici d’angolo offrono talora delle fogge di gusto archiacuto, quali non si videro oltralpe prima dell’apparire dello stile medesimo”.
Continuando a enumerare le più notevoli sculture di questa chiesa, indicheremo l’Altar Maggiore, il più antico che ci conservi a Pavia, scolpito in pietra nel 1383, pare da Giovannino De Grassi; nel cui lato anteriore si vede effigiato L’Arcangelo Michele tra i santi Eleucadio ed Ennodio. Presso la porta settentrionale, sopra il nuovo battistero, si vede un bassorilievo dipinto, non posteriore al secolo XI, rappresentante sant’ Ennodio. Presso questo battistero, eseguito nel 1851 su disegno dell’architetto pavese G.B Vergani , si serbano alcuni cimeli dell’antica basilica. Nella cappella del Crocifisso scolpito su lamina d’argento trovato nella cripta del monastero della Pusterla, e già creduto apparentemente alla pia Teodora, assegnato da alcuni al secolo VII, da altri al IX.
Nel vano della porta chiusa del braccio minore di destra , è da osservare un bel polittico di legno scolpito e dipinto, a cinque scomparti, dell’ultimo decennio del Quattrocento: rappresenta La Vergine col bambino nel centro. Ai lati Sant’ Agostino e Santa Barbara A, san Lorenzo e Santo Stefano Papa. Non ne conosciamo l’autore; ma sappiamo che in quel tempo operavano a pavia ottimi intagliatori, quali i Maino e i Bigarelli. Finalmente, nella cripta che sottostà alla tribuna (cripta con volte a crociera, e colonne dei ben conservati capitelli, alcuni lombardi, altri bizantini), è da notare l’elegante monumento di pietra eretto dal Collegio de’ notai nel 1491 in onore del beato Martino Salimbene (1380-1463): opera dal Meyer e dal Malaguzzi attribuita alla scuola dell’Amadeo. Nella cripta è serbato il tesoro di san Brizio, contenente antiche suppellettili liturgiche, non ancora studiate.
E ora veniamo alle pitture. Il pavimento della tribuna si adorna d’un litostrato del secolo XII, a tre colori, bianco rosso celeste, scoperto nel 1863, rappresentante la vita (Labirinto con Teseo lottante col Minotauro; David provocato da Golia), l’anno (sotto forma di re) e i mesi.
La basilica è adorna di affreschi, che vanno dal XIII al XVI. Presso la porta che dà sulla piazzetta Andreino d’Edesia, un affresco trecentesco: una massiccia Vergine col Bambino, in trono tra due santi, uno dei quali, quello di destra, con mitra e pastorale e pianeta, è forse Sant’ Ennodio.
Un altro avanzo d’ affresco, forse anteriore, si vede sul fronte della cripta, a sinistra di chi entra dalla porta principale: rappresenta un santo nimbato con un libro in mano, e una donna bionda, coronata e nimbata; figure piatte e senza rilievo, ma non prive di fascino. Il primo di questi affreschi è attribuito dal Moiraghi ad Andreino d’Edesia.
Nell’ultimo quarto di secolo XV, quando fu restaurata, la chiesa fu decorata dai migliori pittori pavesi. Sulla sommità della cupola è affrescata l’immagine del Salvatore benedicente. Sulla volta maggiore si vede un affresco, che il Majocchi attribuisce a Giovanni e ad Agostino da Vaprio, rappresentante San Michele che corona un re. Assistito da sant’Eleucadio e Sant’ Ennodio; e nella semitappa dell’abside una soavissima incoronazione della vergine, che il Moraghi attribuì al Bergognone, e propriamente di Agostino da Montebello (discepolo e genero di Leonardo Vidolenghi che conosceremo nella chiesa del Carmine), che la dipinse nel 1491. Nel lato destro della cripta, un bello encausto del secolo XV: la Madonna del latte.
Magnifica la decorazione della volta della seconda campata di destra, ove son rappresentati i quattro dottori della Chiesa Latina (san Gregorio, sant’Ambrigiio, san Girolamo, sant’ Agostino) e i quattro Evangelisti per mezzo dei loro simboli (l’angelo, san Matteo; L’Aquila, san Giovanni; il leone, san Marco; il bue, san Luca).
L’affresco ha tale somiglianza col noto quadro del Louvre dei quattro Dottori, opera firmata e data dal pavese P.F. Sacchi (1516), che al Sacchi lo attribuirono il Moiraghi e il Magenta; ma il Majocchi ci vede la mano di Agostino da Vaprio, autore del trittico di S. Primo.
Notevoli i quadri del Moncalvo: martirio di santa Lucia, nella seconda cappella sinistra, e Maria col Bambino, san Sebastiano e san Rocco (1601), nel braccio destro di croce. Rammenterò da ultimo alcune opere di moderni pittori pavesi: La Vergine e san Siro di Pasquale Massacra (1846) nella cappella della Vergine e di san Siro, già affrescata da G.F. Romani (1608); e la decorazione delle volte di due campate, l’una di Paolo Barbotti (1866), il Genio reverente a Dio (Dante, Tommaso d’Aquino, Lanfranco da Pavia E Severino Boezio).
I vetri colorati del Bertini furono messi alle finestre nel 1861.
Fonte: Pavia e i suoi monumenti