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Vedi Ticinum e poi muori



L’ultima incursione di attila, il flagello di Dio, in Italia.

 

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Il nome di Ticinum, a partire dal 350 d. C., sparisce dagli annali durante il lungo tramonto di Roma.

 

Solo nell’agosto del 408 la città viene ricordata per le vicende legate ai palpiti finali dell’impero grazie a Stilicone, ufficiale vandalo, vero ultimo condottiero romano di una civiltà ormai alla fine. Vittima degli intrighi di palazzo dell’allora imperatore Onofrio, venuto appositamente in città per organizzare una rivolta contro il suo miglior generale, che alla fine viene massacrato a Ravenna, dove nel  frattempo si era rifugiato.

 

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Quando le orde degli Unni si affacciano alle porte di Ticinum sotto la guida di Attila, della vecchia città romana non rimane quasi più nulla, distrutta già dalla discesa di altri barbari che anni prima si sono spinti verso Roma, dai Visigoti agli Alani e ai Vandali.

 

E’ il 452. E’ un esercito invincibile, che ha appena distrutto Aquileia, dopo aver messo a ferro e fuoco mezza Europa, quello che si presenta davanti a quello che resta di Ticinum. Le fonti storiche tacciono sul punto esatto in cui Attila arriva in testa alle sue truppe. Ma non è difficile immaginare che si presenti davanti a quella che oggi è chiamata Porta Milano, nell’attuale via XI Febbraio. E’ l’ingresso più a nord della città. E Attila arriva proprio da Mediolanum.

 

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Il suo aspetto, come quello dei suoi guerrieri, è terribile. Il volto indurito da decenni di battaglie,coperto di pelli, armato fino ai denti sul suo cavallo,attende di entrare all’interno di una città ormai senza difesa. Gli abitanti, atteriti, sanno di non aver scampo. Li aspetta solo un destino di morte e distruzione. Ma il capo degli Unni non entrerà mai a Ticinum. O meglio, ci entreranno i suoi soldati, ma senza fare la carneficina che tutti si aspettano.

 

La città viene taglieggiata, ma non distrutta. Il perché resta ancora oggi un mistero. Ne abbozza una spiegazione Mino Milani, ricordando l’episodio nella sua “Storia avventurosa di Pavia”. E’ probabile, sostiene Milani, che il condottiero barbaro avesse capito a proprie spese che il sistema della terra bruciata era tutt’altro che utile al mantenimento degli uomini e dei cavalli, e quindi avesse deciso di cambiare. O forse era sufficiente minacciare di prendere la città perché questa si piegasse alla resa senza opporre resistenza. 

 

Come che sia, ottenuto quel che vuole, Attila prosegue verso Piacenza, che invece devasta, per poi tornare però immediatamente indietro, ritirandosi al di là delle Alpi.

 

E quasi come per mano di una maledizione, il “flagello di Dio” muore esattamente un anno dopo il suo arrivo a Ticinum, in Pallonia durante i festeggiamenti del suo matrimonio.

 

Perché l’antico centro romano torni a splendere, seppure sotto un regno barbaro, bisogna aspettare qualche anno più tardi. Quando,cioè, la città torna nelle grazie del re dei Goti, Teodorico.

 

 

 

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