UNA SCOPERTA CASUALE
Camillo Brambilla ha una grande passione, quella delle monete antiche.....
Nato a Pavia nel 1809 diventerà uno dei numismatici più noti del futuro Regno d’Italia. Ancora oggi è un punto di riferimento per gli appassionati. E’ un personaggio curioso, Brambilla. Nel 1836 entra nell’amministrazione pubblica del governo austriaco che all’epoca domina il Nord D’Italia. Nel 1849, per punizione a causa della partecipazione attiva al movimento liberale culminato nel periodo delle Cinque Giornate di Milano, il governo asburgico lo trasferisce a Mantova. Chiede la pensione, ma gli viene rifiutata. Per questo dà le dimissioni dai suoi incarichi.
Brambilla in questo periodo, va alla ricerca dei reperti più antichi. I suoi studi lo portano appena fuori dalle mura della città. E precisamente si trova a Carbonara Ticino, qualche chilometro più in là di Pavia.
In località Sabbioni. Brambilla gira chino setacciando le rive alla ricerca di monete.
Ma nella sua ricerca si imbatte in qualcos’altro. Trova uno dei primi reperti risalenti all’età del Bronzo (oggi conservato nell’Archivio Musei Civici di Pavia).
E’ una lama della lunghezza di circa 78 millimetri. Scandagliando il terreno sabbioso, le rive del Ticino restituiscono altri quattro pugnali, sempre appartenenti allo stesso periodo.
Ma Brambilla è un numanistico, non un archeologo. Men che meno del periodo preistorico. I reperti verranno inseriti nella sua collezione, che poi donerà alla città ma non ci saranno ulteriori approfondimenti. Intanto, nel corso degli anni successivi, altri oggetti verranno alla luce fra gli attuali Comuni di Carbonara e San Martino. Sarà proprio il Siccomario, e il Pavese in generale, a rivelare le tracce più antiche della storia di Pavia.
Ritornando in città basta risalire dall’odierno Lungo Ticino Sforza, verso via Strada Nuova. A circa metà del corso, a due passi da piazza del Lino, c’è la Chiesa di San Tommaso.
E’ ancora Opicino de’ Canistris a condurre il passeggiatore contemporaneo proprio dietro l’università e indietro di millenni, indicando questo punto come luogo dei primi insediamenti primitivi, per la presenza di fonti d’acqua che sgorgano il terreno. De’ Canistris, nel “Libro delle Lodi della città di Pavia”, scrive che sotto la chiesa c’è una sorgente “molto copiosa e bella” ricoperta da una grande volta.
Di sorgenti sotterranee, in particolare nella pianura in direzione sud e sud-est, e della loro importanza per i primi insediamenti umani scrive anche lo storico Pierluigi Tozzi nel volume “Origini della leggenda di fondazione di Pavia”.
Quasi certamente è un altro punto in cui ci furono i primi insediamenti umani risalenti alla preistoria. Avere un approvvigionamento di acqua a due passi dalle capanne, evita ai suoi abitanti di scendere al fiume. Una volta, anche allontanarsi nella foresta di poche centinaia di metri poteva costare la vita. Ma anche in questo caso si tratta solo di ipotesi perché non vengono ricordati ritrovamenti specifici sul luogo.
Peter Hudson, nella sua “Archeologia urbana e programma della ricerca: l’esempio di Pavia” ci porta dalla parte opposta del centro storico. Dall’attuale piazza del Lino si riattraversa quella che oggi è il cuore di Pavia, Strada Nuova, e si percorre corso Cavour. E’ un salto in avanti di qualche milione di anni. Dal punto di vista urbanistico il centro storico di Pavia ricalca la struttura romana che si sviluppa attorno agli assi viari principali: il cardo che corrisponde all’attuale corso Cavour, a ovest, e corso Mazzini, a est.
La Pavia romana fu probabilmente fondata nell’anno 89 a.C. seguendo lo schema tipico delle vie perpendicolari tra di loro a formare isolati quadrati con lato di circa 80 metri. Gli isoltati erano dieci da est-ovest e sei-sette da nord a sud, cio in tutto sessanta o forse settanta. Si segue quindi il decumano fino a poco dopo il tribunale. Questa zona,oggi, rappresenta l’altra parte del cuore della città. Gelaterie, ristoranti, “struscio”, grandi magazzini. S nota poco, anzi quasi per niente , perché è un vicolo minuscolo a U che si affaccia proprio su corso Cavour. E’ quello che oggi è conosciuto come vicolo San Gregorio.
Secondo Hudson bisogna inoltrarsi proprio in questa stradina stretta e chiusa per ritrovare le sepolture preistoriche a inumazione e incinerazione di cui è rimasta traccia,almeno neo documenti ufficiali Durante i lavori di costruzione, vengono citati resti di un focolare preistorico. Ancora oggi, l’angusta viottola che spunta sulla strada della movida pavese, dà la sensazione di protezione, d’isolamento, di silenzio.
Bisogna immaginare un gruppo di capanne, un fuoco al centro del minuscolo insediamento, il crepitio delle fiamme nel silenzio della foresta preistorica. Ancora una traccia, solitaria, della Pavia preistorica si trova nelle settecentesche “Memorie Istoriche della città regia di Pavia”, di Siro Severino Capsoni, bibliotecario e storiografo dell’ordine domenicano e priore del convento di San Tommaso. Capsoni racconta che in una casa del centro sono state ritrovate due sepolture appartenenti al periodo preistorico piuttosto che romano a cui erano precedentemente attribuite perché reinvenute all’interno di mura romane. Ma non dice dove questo palazzo si trovi.
Avvalendosi ancora del prezioso lavoro di Hudson, si va alla scoperta dell’ultimo luogo legato alla preistoria di cui si trova traccia nei rari documenti a disposizione oggi: Via Boezio.
E’ curioso come ancora una volta, silenzio e rumore, antico e moderno che convivono uno accanto all’altro di cui Pavia è ricca, torni prepotentemente alla ribalta. Ci si sposta solo di qualche centinaio di metri. Corso Matteotti è una delle arterie principali della città. Auto, parcheggi, la sede dell’INPS e, più in là, la sede della regione. Una zona commerciale che pulsa caotica sulla quale si affaccia, quasi timidamente, via Boezio. Anche qui si fa un piccolo balco in aventi perché questo personaggio è legato a doppio filo alla storia di Pavia. Con le sue opere ha avuto una profonda influenza sulla filosofia cristiana del Medioevo, tanto che alcuni lo collocano tra i fondatori della Scolastica. Fu principale collaboratore di Re Teodorico, ricoprì la carica di magister officiorum, cioè una sorta di primo ministro a capo di tutta la burocrazia statale nell’impero romano.
Boezio, nel clima di rilancio della cultura che la pace rese possibile durante il regno del re gotto, concepì l’ambizione di tradurre in latino opere di Platone e Aristotele. Negli ultimi anni di Teodorico, che lo resero sospettoso di tradimenti e congiure. Boezio venne imprigionato a Pavia
E giustiziato nel 526. Proprio nella strada a lui dedicata.