Un Imperatore al Fraschini
E un cosacco russo sdraiato nel giardino di Palazzo Arnaboldi
Via Cardano, l’università, la Certosa. Da questi tre luoghi, in sintesi, passa la breve dominazione francese, quando anche Pavia entra a far parte della Repubblica Cisalpina nel maggio del 1799, dopo la nuova cacciata degli austriaci.
In via Cardano, proprio in questi convulsi giorni, Camillo Campari e altri notabili, divenuto nel frattempo i nuovi municipalisti, raccolgono le carte in molte antiche chiese soppresse creando il primo nucleo dell’archivio di Stato, che attualmente ha sede nell’ex convento San Maiolo.
Nella nuova amministrazione a tradizione giacobina non entra nessuno dei membri del club della giunta, per quanto l’ultima parola spetti ai francesi.
Mentre Pavia si lecca le ferite, Napoleone visita l’Università, scampata al saccheggio su sua precisa volontà.
Diverso destino, invece, per la Certosa. Il generale dà ordine di togliere dai tetti dell’abbazia il piombo per fonderlo e ricavarne proiettili. Ma non è l’oltraggio più grave che subisce il monumento: Proprio qui inizia quella consuetudine, accentuata negli anni a venire dalle truppe Napoleoniche, di portare vie opere d’arte e oggetti di pregio. Dalla Certosa infatti, spariscono una dozzina di quadri.
Innalzato di nuovo il grande albero della libertà, che questa volta più nessuno si azzarda a tirar giù, per le strade inizia ad apparire la bandiera cisalpina, cioè la nostra, con i colori bianco rosso e verde. E’ lo stesso Bonaparte, il 6 novembre 1797, a consegnarla a Milano alla neonata Legione Lombardia.
E’ sempre in questo periodo, esattamente l’anno successivo, che a Pavia nasce il primo foglio cittadino. Si chiama il Giornale di Pavia, stampato e diffuso dal titolare della centralissima libreria di Strada Nuova, di proprietà di Cappelli, giacobino della primissima ora.
Ma la pace dura poco.
Nell’aprile del 1799 gli austriaci riprendono l’avanzata , costringendo alla ritirata le truppe francesi. Che esattamente come pochi anni prima i nemici, abbandonano la città. Una sterminata quantità di carri, soldati, munizioni , cavalli, prende Porta San Vito, oggi Porta Milano, in direzione del capoluogo lombardo.
Il castello viene svuotato delle armi.
Quello che non si riesce a portare via , come la polvere da sparo, viene gettato nell’acqua del fossato.
Il mattino del 30 aprile , rieccoli gli austriaci , attraversare le porte della città al grido di “evviva l’imperatore”. A farne le spese è il solito, povero, albero della libertà. Questa volta abbattuto definitivamente.
Per essere sicuri che nessuno riprovi a fissarlo, cosa improbabile, visto l’ennesimo cambio al potere, la pianta viene bruciata fra il giubilo dei presenti.
Intanto il grosso delle truppe imperiali ripassa il Ticino e Gravellone, mettendosi all’inseguimento dei francesi. C’è però un battaglione che i pavesi, da decenni abituati a vedere divise di tutti i colori, non hanno mai visto all’opera: sono i cosacchi russi, giunti al seguito dei loro alleati asburgici.
Nella parte sud della città, molto vicini al Ticino, un dedalo di viuzze strette accoglie palazzi aristocratici, ancora oggi molto ben tenuti. Proprio in questa zona, a poche decine di metri da via Capsoni, la strada dedicata all’erudito pavese ucciso da una palla di fucile francese, c'è palazzo Arnaboldi
Ci si trova nell’attuale via Rocchetta. Il 7 maggio del 1799 vi soggiorna il generale russo Aleksandr Vasil’evic Suvorov. La sua cavalleria è composta da cosacchi e calmucchi, ancora armati di arco e frecce. Questi soldati, che vengono dalle lontane steppe orientali, già a Milano hanno dato prova del loro coraggio e soprattutto brutalità. Uccidono, rubano, stuprano come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Ma per fortuna Pavia cade senza nemmeno sparare un colpo. Quindi non serve la violenza.
Suvorov arriva in città e alloggia proprio nel palazzo di via della Rocchetta. E’ descritto dallo storico Luigi Fenini come un uomo picco, tutto nervi e con il volto rugoso, e i modi spasmodici. La prima cosa che fa, quando scende da cavallo, è abbracciare il primo che capita, cioè “uno sbigottito carbonaio”, e dopo aver arringato la scarna folla che si è radunata, inneggiando all’imperatore e allo zar, entra nel palazzo.
Pare che dopo aver cenato, questo rustico generale russo, non scelga il letto per dormire, ma il giardino all’esterno della piazza, dove si sdraia e si addormenta poggiando la testa alla sella.
I russi restano una decina di giorni in città. Del loro fugace passaggio resta una traccia: una tomba comune nel cimitero di San Lanfranco dove sono sepolti i caduti della campagna d’Italia.
Intanto il generale francese Massena sbaraglia gli austriaci e i russi a Zurigo, nemmeno un anno dopo l’arrivo del folkloristico generale cosacco a Pavia.
Il 9 e 10 novembre, in Francia, avviene il colpo di stato di Brumaio. Bonaparte viene nominato Primo Console. Inizia l’epopea napoleonica.
A Pavia si assiste al nuovo cambio della guardia. Il 2 giugno da Porta Ticinosette cavalleggeri, evidentemente conoscitori delle strade, percorrono al galoppo contrade dei Tre Collegi,l’attuale corso Cairoli. Qui, catturano un sottufficiale austriaco, insieme a sei soldati. Il bello è che , formalmente, la città è ancora sotto il controllo asburgico. Ma ancora per poco. L’ardita sortita convince la guarnigione ad affrettare i tempi della ritirata.
Il 4 giugno il generale Lannes entra in città.
Il 9, il primo console Bonaparte per la terza volta torna a Pavia. Questa volta ospite a palazzo Botta. Con la vittoria a Marengo, i francesi cacciano per qualche anno gli austriaci dall’Italia.
Pavia, per volere di Napoleone, si trasforma in una città militare.
Si possono seguire le tracce , allora, di questa decisione attraverso i luoghi. A San Pietro in Ciel D’oro, nel palazzo dei lateranensi, si formano gli artiglieri dell’esercito francese. A porta Milano , accanto all’ingresso in città, si vede una fonderia per la costruzione di cannoni. Passando da Porta Stoppa, si sentono gli spari provenienti dal poligono.
Già imperatore e re d’Italia, Napoleone tornerà a Pavia, per la quarta ed ultima volta, il 6 maggio del 1805, accolto dal rombo dei cannoni, dalle campane a martello e da una folla osannante.
Pavia ha circa 21 mila abitanti. Le sue strade sono ancora sterrate e fangose dopo le piogge e le nevicate. Lo è anche Strada Nuova, che sarà acciottolata solo nel 1810. Il buio, di notte, è pressoché totale. Solo nel 1813 appaiono i primi 20 lampioni. Nelle attuali via Cavallotti, via Ressi, via Mentana, via Teodolinda, via Mascheroni, corso Carlo Alberto ci sono cumuli di immondizia. Una accanto all’altra, convivono palazzi, chiese e casupole. Il Ticino è sempre pronto a far bella mostra della sua potenza. Nel 1802 una piena disastrosa spazza via tutto quello che trova.
Proprio da Borgo Ticino, la zona sempre più colpita , la coppia imperiale entra in città a bordo di una carrozza trainata da otto cavalli. Napoleone e la consorte Giuseppina sono diretti in quella che ancora oggi si chiama piazza Antonio Botta Adorno, a due passi dall’attuale Piazza Minerva. Napoleone pernotta nell’omonimo palazzo, sfarzosamente illuminato per l’occasione. Ancora oggi, con visita guidata, se ne può varcare la soglia e ammirare la stanza dove Napoleone e la consorte dormono durante il loro soggiorno. La sala presenta un arredo diverso, ma affreschi, stucchi e porte sono originali.
I Coniugi vanno al Teatro dei Quattro Cavalieri, cioè il Fraschini, ad assistere alle rappresentazioni che si svolgono in loro onore. L’imperatore dei francesi va anche all’università ad ascoltare alcune lezioni e qui incontra, e riconosce, Camillo Campari che gli aveva tenuto testa qualche anno prima.
Spesso le pagine della storia Europea girano velocemente. E con esse , quelle della città. Lo stesso Teatro Fraschini accoglierà, non più tardi di una decina d’anni dopo, gli ufficiali austriaci, ritornati di nuovo padroni del Lombardo Veneto e quindi anche di Pavia E qualche anno dopo le notti a palazzo Botta, l’ultima dimora di Napoleone sarà Sant’Elena.