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UN GIRO FUORI PORTA : LA PREISTORIA DEL PAVESE

Si prende l’auto per una gita fuori porta. Si percorrono le strade provinciali che portano verso il Pavese prima, e l’Oltrepò poi, significa incontrare soprattutto camion e tir che entrano ed escono dalle decine di logistiche sorte come funghi negli ultimi vent’anni. Oggi corrono bisonti della strada, ma ieri erano i mastodontici animali selvaggi a scorrazzare su e giù per la bassa.

Si giunge ad Arena Po. E si dà un balzo indietro appena dopo il primo periodo Quaternario.

Alla fine di questa era, si sono alternate glaciazioni a clima rigido e interglaciazioni a clima mite, con conseguenti avvicendamenti di flora e fauna Il piccolo borgo medievale, il cui cuore è l’antico castello del XIV secolo, e che dorme placido ai piedi del Po, è abituato da millenni ai capricci del grande fiume , che ogni tanto lo invade. Ogni anziano , seduto ai tavolini del bar della piazza, ha un suo racconto, un suo ricordo ancora oggi legato a quelle acque inquiete e imprevedibili, pronte ad invadere le strade in una sola notte. O pronte a ritirarsi per reti nelle stagioni secche e siccitose.

Ed è proprio che il paese deve le scoperte più importanti in fatto di ritrovamenti di elefanti e di un passato remotissimo legato alla presenza di questi enormi animali.

E’ il 1926 e Plinio Patrini pubblica un articolo sulla rivista italiana di paleontologia. E per capire quanto siano interessanti i suoi studi, basta già il titolo  “I mammiferi di Arena Po”.

E’ ben nota la ricchezza in fossili di grossi mammiferi dei giacimenti di Arena Po e Portalbera, dove la corrente del Po ha subito, e in parte subisce ancora, un marcato rallentamento di flusso. Ecco allora affiorare in alveo , al di sotto della coltre alluvionale, le rocce marine del substrato, quelle più resistenti all’erosione, che hanno contribuito “ad arrestare i cadaveri dei grossi mammiferi travolti dalle piene, oppure i resti asportati dalla loro primitiva giacitura”.

La scoperta è eccezionale.

Emergono i resti di 17 specie: quattro sono di elefanti, tra le quali un mammut (risalente al periodo più freddo) e gli elephans antiquus, vissuto invece in un periodo più caldo. E ancora, le sabbie del Po restituiscono fossili di tre specie di cervi diversi, un’alce, un bisonte e un uro ( cioè l’antico antenato del bue) un bue, un ippopotamo e un rinoceronte.

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Fra i resti, anche un cane e persino ossa umane. Sono risultati invece precedenti al Pleistocene superiore ( fra i tre milioni e i 12 mila anni fa) i reperti di elefanti di specie non precisata trovati nella zona di Portalbera: mammut, uri, rinoceronti.

Resta difficile, come sempre la preistoria di questi luoghi, avere una definizione esatta dell’ordine cronologico e ambientale. Si ritorna allora verso Pavia, ripercorrendo le lunghissime provinciali, che tagliano in due i campi di mais e risaie.

E’ ancora sotto gli occhi dell’osservatore contemporaneo , oggi, con il suo territorio piatto e uniforme , la traccia di quel mare padano risalente a qualche milione di anni fa. Bisogna ignorare le cascine , i trattori, i capannoni,le logistiche. E bisogna immaginare al loro posto piccoli gruppi di uomini e donne, raggruppati in minuscoli villaggi sparsi nella foresta, o nella tundra, a seconda del periodo storico in cui sono vissuti. In epoca recente , i ritrovamenti (sempre casuali purtroppo) portavano alla luce gli strumenti che dovevano essere serviti a quell’epoca ai primi abitanti della zona. A Pieve Porto Morone , a 25 chilometri da Pavia, o Gerenzano a Zerbo, sempre Plinio Patrini ricorda tracce di “strumenti di pietra lavica" come asce, da collocare presumibilmente fra il Neolitico e le fasi avanzate dell’età del bronzo.

Gli insediamenti in questa terra ricca di acque , foreste e animali, si moltiplicano 

I tempi tumultuosi delle ere preistoriche lasciano il posto a periodi in cui la terra pavese , poco a poco, prende la forma che la caratterizza in seguito.

Inizia la storia dei primi popoli di cui le fonti recano tracce finalmente inconfutabili.

Inizia la storia di Ticinum.