Un giro fra le case gialle di via Tasso: Nascono i quartieri popolari
Un giro fra le case gialle di via Tasso: Nascono i quartieri popolari
Si vede ancora oggi, entrando nei cortili delle palazzine gialle fra via Tasso e via Grassi, l’occhio lungimirante dei progettisti che nel 1929 pensano a un’edilizia popolare che non sia un ghetto dove ammassare chi non può permettersi casa all’interno del centro storico.
Sono palazzine basse, all’interno c’è un gradevole giardino con panchine. Nulla a che vedere con le baracche che sempre in questo periodo, si vanno formando nei suburbi urbani delle grandi metropoli di allora. La fine della Prima Guerra Mondiale, il boom delle fabbriche, cambia per sempre il volto di Pavia.
Il primo passo per quella che verrà definita, in seguito, edilizia popolare, ha radici agli inizi del secolo. Come stimolo, anche, all’ iniziativa privata, nel 1906 viene stabilita l’esecuzione dal dazio sui materiali per la costruzione delle abitazioni operaie. E parte la corsa alle richieste all’amministrazione comunale e l’assalto ai terreni, ancora vergini, della periferia nord e sud della città.
A ponte Pietra, Crosione, Borgo Ticino (Dietro il nucleo storico delle case che si affacciano sul fiume) i terreni costano poco.
Bisognerà aspettare solo qualche anno più tardi, attorno agli anni Venti, per assistere però al boom, grazie all’arrivo delle società cooperative. Nel 1921 viene fondato anche a Pavia L’ente autonomo per le case popolari al quale il comune cede la proprietà di alcuni terreni per la realizzazione di due case che sorgeranno fra le attuali viale Gorizia e via Luino. In questo modo lo Iacp, come verrà chiamato, può dare attuazione al vecchio progetto di avviare altri lavori in viale Trieste.
Se ci si aggira ancora oggi in questa parte periferica della città, a ridosso del Naviglio si osserva l’impronta urbanistica intatta.
L’istituto pensa a gruppi di grandi edifici, organizzati in quartieri chiusi, autosufficienti, abbelliti da recinzioni e giardinetti interni. Le nuove case vengono decentrate rispetto al nucleo urbano per ovvi motivi di spazio e di costi.
Sorgono anche le case del ceto medio, non solo operaio. Ancora oggi sono visibili i primi due edifici nati con questo scopo, in viale Lodi e in Viale XI Febbraio. Soprattutto quest’ultimo è più ricercato . E un motivo c’ è. La vicinanza con il Castello obbliga una maggiore accortezza urbanistica.
In questo periodo sorge un altro edificio, di grandi dimensioni, fra piazza San Pietro in Ciel D’Oro e il baluardo Villetta (oggi via Nazario Sauro). La storia di queste costruzioni comporta, in alcuni casi, il definitivo abbattimento dell’antico salone visconteo per il gioco della palla. Una decisione che provocherà discussioni e polemiche. Ma l’espansione non si ferma.
In strada nuova, nel 1923, viene realizzato un primo gruppo di quattro edifici di medie dimensioni a tre piani, dall’aspetto decorativo curato. Ma in altre zone della città, la realizzazione di edilizia economica-popolare è una rarità.
Fra il 1926 e il 1929 l’area compresa fra la Vigentina, l’attuale via Tasso, e lo stabilimento Moncalvi (Dove attualmente c’è la redazione del quotidiano locale la provincia pavese) che dà lavoro a centinaia di operai viene interamente coperta dall’edilizia popolare. Oltre agli edifici di viale Lodi, realizzati fra il ’26 e il ’27, nel 1929 sorge per iniziativa della Iacp un vasto quartiere in cui cuore è proprio via Tasso.
Ancora, nel 1940, viene realizzato un gruppo sei edifici, abitati ancora oggi, nell’attuale via Libero Grassi. Si danno da fare anche le fabbriche, per accogliere i numerosi operai che lavorano all’interno dei loro capannoni. Sin dal 1906 la ditta Pacchetti costruisce per le sue maestranze alcuni edifici nell’area del complesso industriale. La Snia, vent’anni dopo, fa la stessa cosa costruendo ben 11 edifici in viale Montegrappa.
Viene presentato in questi anni un progetto per erigere un villaggio operaio sugli orti del Collegio Borromeo. Ma dopo polemiche e critiche , è respinto. L’espansione segue la linea del Naviglio, in direzione del Ticino. Si attraversa allora viale Campari e ci si addentra in questa zona di Pavia, ancora uguale al secolo scorso. A fine Ottocento, proprio in questo tratto di strada il padre di Albert Einstein, Hermann, aveva aperto una fabbrica: sono le officine Elettrotecniche Nazionali Einstein-Garrone che daranno lavoro a un centinaio di persone.
Al numero civico 11 di Via Foscolo c’è l’austero palazzo Corlazzoli, sul muro esterno c’è una doppia lapide. Ricorda il soggiorno, proprio in questo edificio, del grande poeta, che qui abitò fra il 1808 e il 1809, quando insegnò all’università e curiosamente, sempre nella stessa abitazione che ospitò Ugo Foscolo, ma un centinaio di anni dopo, si fermò, ancora studente, anche lo scienziato Albert Einstein. Era il 1895.
La passeggiata prosegue tra le case ancora immerse nel verde. La zona, infatti, non viene cementificata. La tendenza a creare quartieri residenziali omogenei, destinati a diverse fasce socioeconomiche (non solo operai, ma anche colletti destinati a diverse fasce socioeconomiche ( non solo operai, ma anche colletti bianchi) che si concretizza in alcune lottizzazioni limitare, sono le caratteristiche della periferia di Pavia.
L’area compresa fra viale Vittorio Emanuele II, viale Cesare Battisti , via Montini si popola di case sin dal 1921. Stessa sorte per la zona di viale Gorizia, coperta tra il 1923 e il 1926 da villette di edilizia economica ma non prive comunque di un certo stile. Nasce l’area Mettica, ampliata poi nella zona nota oggi come Città Giardino.
Con quest’ultimo intervento, si registrano anche i primi casi di speculazione. La realizzazione del progetto, infatti, si discosta e non di poco da quello originario dando avvio a un fenomeno che nei decenni successivi troverà repliche anche altrove.
L’espansione della città crea anche nuovi bisogni per una popolazione in continua espansione. E’ così che l’antica rete fognaria romana viene adeguata a partire dagli anni Venti.
Negli anni Trenta, invece, c’è da registrare l’apertura del nuovo acquedotto. Ma la struttura urbana, a causa della ridotta dimensione delle strade, non si adatta come altrove allo sviluppo del trasporto urbano. Alla prima forma di collegamento tra l’attuale stazione e piazza del Municipio, avviata nei primi decenni del secolo con carrozze a cavallo gestite da una società privata, si sostituisce nel 1913 la tramvia elettrica per la quale è necessario installare le rotaie e costruire una rimessa che verrà costruita al baluardo della Botanica, sull’attuale viale Gorizia, proprio all’imbocco di via Scopoli che quasi duemila anni prima aveva visto l’ingresso di Ottaviano Augusto.
La linea verrà prolungata fino al Policlinico da un lato e al quartiere San Pietro Verzolo dall’altro. Verrà poi soppressa nel dopoguerra.
Per vedere come Pavia si trasforma e assume l’immagine che ha oggi, bisogna tornare indietro di qualche anno fa. E’ il 1882. Alla fine dell’Ottocento viene realizzato il salone del mercato Arnaboldi, per dare spazio adeguato al mercato bisettimanale che aveva una sua disordinata sede all’incrocio con i due assi cittadini costituiti dagli antichi cardo e decumano . L’opera comporta l’abbattimento di una serie di stabili nel cuore della città. L’obiettivo di realizzare una sorta di galleria, sulla scorta di quella celebre di Milano.
E ancora oggi ne sono visibili le intenzioni. La soluzione urbanistica prevede di realizzare un raccordo fra la commerciale Strada Nuova e la più defilata piazza del popolo per la quale fra il 1898 e il 1900 si procede al riordino, dopo che nel 1893 si era riformata la caserma del Lino (L’attuale ex convento di San Tommaso) e nella prospettiva della collocazione in questo luogo del monumento alla famiglia Cairoli.
A inizio secolo prende la sua attuale fisionomia piazza del Municipio, così come la si vede oggi, con l’abbattimento di alcune case e il rettifilo e l’arretramento all’università in quella che nel 1929 verrà riorganizzata come piazza XXVIII Ottobre ( oggi piazza della Posta).
Ma la vera novità di questo periodo è il palazzo della Posta ( da cui il nome della via) dove centinaia di pavesi fanno la fila tutti i giorni agli sportelli. L’anno successivo si realizza infine l’edificio destinato a ospitare la Camera di Commercio, in Via Mentana. L’operazione viene completata sacrificando la chiesa di Sant’ Eusebio e il giardino di piazza del Maino.
E’ sotto il fascismo che, in gran parte, Pavia di ieri diventa la Pavia di oggi.