Tutti all’area VUL a ballare, e a fare la spesa
Nel primo centro commerciale d’Italia: la ripresa della vita democratica.
Passati gli orrori della guerra, si guarda avanti. C’è voglia di dimenticare, e soprattutto di divertirsi.
Si attraversa allora il ponte Coperto, restituito alla città dopo i bombardamenti nel 1952 (ma era già stato aperto un paio di anni prima), e si raggiunge a piedi la grande riva che guarda Pavia dalla parte opposta del Ticino. Ci si trova davanti nell’area Vul. La zona di svago dei pavesi nasce proprio qui. Su questa ampia riva del fiume , già nei primi mesi degli anni 50, spunta una balera, con bar,tavolini per i clienti, e palchetto per i cantanti e suonatori. Finalmente la spensieratezza ritorna tra gli animi dei giovani avventori e il luogo ha subito un gran successo. Viene frequentato da moltissima gente , tanto che si decide di creare un circolo con sede al bar San Carlo (laddove oggi c’è un altro locale, il bar Il Ponte). Sul palco si alternano cantanti locali ma anche artisti famosi. Nilla Pizzi,regina della canzone negli anni 50, fa una serata proprio nella balera sul Ticino . L’iniziativa ha successo. I soci mettono una piccola quota annua giusto per mantenere in ordine la struttura. L’ idea di dare alla città uno spazio per il divertimento, nasce proprio al bar San Carlo.
Non è solo tempo di divertimento a Pavia. Il 2 giugno 1946 le elezioni per la Costituente, simultanee al referendum sulla monarchia, confermano la leadership di tre partiti a Pavia: DC, PCI, Psiup. E’ anche l’esordio dell’elettorato femminile, la novità più consistente del ritorno alla vita democratica. Il risultato più vistoso , insieme al massiccio afflusso alle urne che raggiunge quasi il 90 %, è inequivocabile scelta repubblicana, che si attesta intorno al 61,8% rispetto al 54,3% nazionale. Intanto la vittoria del Psiup è nettissima a Pavia.
Quello dei socialisti è il primo partito con oltre 13 mila voti alle politiche.
Fra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Sessanta la città è travolta da un processo di trasformazione che ne muta, in un decennio, struttura economica e assetti sociali. Il censimento del 1951 registra 65 mila abitanti. Di questi , 23 mila sono addetti all’industria, nel commercio e nel credito, distribuiti in 2.567 esercizi. Dieci anni dopo la popolazione toccherà quota 74 mila abitanti.
Nel decennio l’espansione produttiva industriale segna una curva ascendente fino alla recessione del biennio 1964/66, raggiungendo il massimo produttivo dal ’58 al ’63. Questa però è solo una faccia della medaglia. L’altra è la disgregazione del mondo contadino, favorito dal ridimensionamento delle colture tradizionali, a partire dalla scultura in provincia. La metamorfosi comporta il riversarsi di centinaia di persone verso la città, alla ricerca di un’occupazione nelle fabbriche che crescono in fatturato e dimensioni. Questo fenomeno provoca una vera e propria invasione di tute blu a Pavia, con il formarsi di un ceto operaio che la città non ha mai conosciuto, neppure all’inizio del secolo e fra le due guerre, quando i primi imprenditori trasformano le aziende ereditate a conduzione familiare e le portano a essere, come nel caso della Necchi, una fabbrica all’avanguardia.
E proprio in questi anni l’impresa simbolo di Pavia iscriverà il proprio nome a caratteri cubitali nella storia dell’industria italiana e non solo. Nel dopoguerra Necchi si avvia a essere un’impresa in grado di produrre più di mille macchine al giorno, con circa 4500 dipendenti, diecimila negozi di vendita e un’ampia rete di assistenza. Circa il 40% delle 120 mila macchine per cucire fabbricate in Italia nel 1947 escono da questi stabilimenti. Nel periodo dagli anni Cinquanta agli anni Settanta la Necchi vede riorganizzato anche il flusso produttivo, dall’ingresso delle materie prime e dei semilavorati fino all’assemblaggio finale, con l’adozione della catena di montaggio.
La riorganizzazione coinvolge anche il rinnovamento dei macchinari (finanziati dalla proprietà utilizzando anche gli aiuti economici ottenuti nell’ambito del Piano Marshall) e all’inizio degli anni 50 viene ripensata l’intera struttura aziendale e il suo coordinamento. Notevole importanza ricopre lo sviluppo della rete di distribuzione del secondo dopoguerra. Un ruolo predominante viene svolto da Leon Jolson, figlio di un agente Necchi di Varsavia di origini ebraiche rifugiatosi negli Stati Uniti. E’ Leon , alla fine del conflitto, a riprendere l’attività di rappresentanza a New York, contribuendo con la sua fitta rete di agenti alla diffusione delle macchine Necchi sul mercato americano. Il modello di Jolson viene poi esportato dalla Necchi anche in altri Paesi. Nel settore ricerca si procede in modo innovativo , lungo due direttrici: da una parte lo sviluppo e la tecnologica; dall’altra il design inteso,più che come armonia estetica, come sistema per ottimizzare l’ergonomia, la facilità d’uso e la semplicità di apparecchi destinati a impegnare maestranze, sarte di casa, e semplici casalinghe per molte ore. Le nuove macchine da cucire vengono lanciate sul mercato.
Nel 1953 la Necchi Supernova, nel 1955 la Lidia e nel 1956 la Mirella, scaturite dalla matita di Marcello Nizzoli. La Supernova viene considerata il primo prodotto a unire innovazione tecnologica a un disegno evoluto. E per questo viene premiata con il prestigioso Compasso D’Oro, il più autorevole premio per il design. La macchina è un vero gioiello: ha funzioni che la rendono un “laboratorio automatico” grazie all’utilizzo di memorie meccaniche che guidano l’esecuzione dei ricami.
Non si tratta solo di strumenti utili, ma di veri e propri capolavori del design.
Nel 1956 con la prima Mirella, la Necchi vince ancora il Compasso D’oro e il gran premio della XI Triennale di Milano. La macchina entra a far parte della collezione permanente del museo Moma, a New York.
La dirigenza viene ampiamente rinnovata, già nell’immediato dopoguerra. Nel 1948 viene assunto in fabbrica Gino Martinoli, che per più di un decennio aveva ricoperto l’incarico di direttore tecnico alla Olivetti di Ivrea, per poi essere assunto nel settore meccanico dell’IRI. La prima decisione del nuovo direttore è quella di accrescere la manodopera: vengono assunte circa 800 nuove unità, quasi tutto personale della zona.
Nella primavera del 1949 la Necchi occupa 2.034 addetti, tra produzione e servizi. A metà degli anni Cinquanta, i lavoratori erano 4500. L’efficienza del sistema raggiunge i suoi massimi livelli e la Necchi ottiene il predominio sul mercato nazionale, di cui detiene circa il 90 % assieme alle società Singer e Vigorelli.
L’impero durerà un decennio. Il declino inizierà solo a metà degli anni Settanta, con la morte del figlio fondatore , Vittorio.
E in tanti, tra cui pavesi che trovano lavoro a Milano, danno avvio a un fenomeno ancora oggi in atto: il pendolarismo. Questo determina una rapida evoluzione del sistema dei trasporti, con un incremento della rete ferroviaria ma soprattutto del traffico. Si calcola, fra gli anni Cinquanta e Sessanta un aumento delle autovetture circolanti da poco più di seimila auto e oltre 34mila. E’ questo il decennio si creano i presupposti degli squilibri sociali, che sfoceranno poi nelle contestazioni del ’68 e il drammatico processo di deindustrializzazione degli anni Settanta e Ottanta.
Ma non precorriamo i tempi e torniamo al periodo del Boom economico. La voglia di novità e di stupire con qualcosa di mai visto prima, ha il suo simbolo in questi anni nel Mercato Ipogeo, o sotterraneo come lo chiamano a Pavia. Alla fine degli anni 50 , piazza della Vittoria, prima piazza Grande, viene completamente sventrata per realizzare nel suo sottosuolo un vasto mercato destinato a sostituire quello all’aperto che esisteva da sempre in superficie. E’ a tutti gli effetti, il primo centro commerciale realizzato in Italia.
Nel 1961, la ditta di carpenteria metallica Zavattarelli, incaricata della realizzazione dei parapetti delle scale di accesso al nuovo mercato sotterraneo, completa la posa in pochi giorni prima della inaugurazione del complesso.Il mercato all’aperto in piazza della Vittoria rimane ben presto solo un ricordo, sostituito da quello in Piazza Petrarca, ancora oggi in attività.
Andare al mercato sotterraneo diventa un avvenimento, quasi un viaggio turistico. La severa piazza che aveva visto le esecuzioni del Tribunale dell’inquisizione, delle rivolte giacobine e, più di recente, la sede del comando della repubblica sociale fascista, si trasforma nel luogo del moderno commercio dello “struscio” cittadino.