LA RISSA PER LE STRADE NELLA DOMENICA DELLE PALME E IL DUELLO ALLA VERNAVOLA
Un fiume di sangue scorre su Ticinum
I pavesi che oggi passeggiano per le loro strade , gustandosi il centro storico, fermandosi a prendere un caffè al Demetrio di Strada Nuova , o facendo jogging alla Domenica mattina aul Lungo Ticino Sforza sono conosciuti attualmente per la loro indole tranquilla e persino un po' chiusa , riflettendo forse nel loro carattere odierno la nebbia che tutto avvolge e ovatta talvolta la città.
Ma non sempre è stato così
Ne sa qualcosa Carlo il Grosso, discendente diretto di Carlo Magno, fresco re dei Franchi, quando nel 886 deve precipitosamente tornare a Pavia (Oramai la si chiamerà così, e non più Ticinum) dal Castello di Corteolona, dove soggiorna, per una rissa fra i cittadini e soldati. Anzi, più che una rissa è una vera e propria rivolta quella che scoppia fra pavesi e truppe imperiali la domenica della Palme di quell’anno.
Ma bisogna fare un passo indietro di qualche decennio per capire perché i Franchi si trovino in città. Pavia cade nelle mani di Carlo Magno ai primi di giugno del 774, dopo un lungo assedio. Durante il quale aveva avuto anche il tempo di costruire la Chiesa di Santa Sofia, ancora oggi visibile, nell’attuale frazione di Torre D’Isola. Il re franco , dopo aver sottomesso i duchi longobardi,di fatto, pone fine al loro dominio.
Quello che la notte dell’800 verrà poi incoronato imperatore a Roma, tornerà a Pavia altre sei volte, e solo per ragioni politico-militari. La città , sotto la dominazione carolingia, perde la centralità che invece aveva avuto durante il regno di Alboino e Liutprando.
Carlo i Grosso è a Corteolona, dunque, quando si accende la zuffa fra i cittadini e soldati imperiali. Questi ultimi forse usciti da una delle tante taverne che si trovano fra l’attuale zona di Via Cardano e via Dei Liguri, dove ancora, prima dell’anno Mille, la città mantiene l’impronta delle insulae dell’antica Ticinum, con quelli che oggi chiameremmo locali e pub, attaccano briga con alcuni pavesi.
Ben presto il confronto si tramuta in una vera e propria rivolta contro la soldataglia franza. Ma, giusto per non smentire quello che sarà un’abitudine tutta italica, gli stessi pavesi si dividono fra chi sta con l’imperatore e chi contro. Scorre sangue, e tanto. Dai vicoli che si insinuano fra quello che resta dei vecchi palazzi, le fazioni si spostano nel foro, cioè l’attuale piazza della Vittoria, e sulle strade principali, il cardo e il decumano (strada nuova e corso cavour.)
Gruppi armati dell’una e dell’altra fazione non si risparmiano colpi mortali. Alla fine i soldati (e i pavesi loro “fiancheggiatori”) fuggono verso Corteolona. L’obiettivo è chiedere l’appoggio del re-imperatore. Che non tarda ad arrivare. L’ordine viene ristabilito in poche ore, secondo la consuetudine del tempo: passando per le armi dei rivoltosi.Normale routine per Carlo il Grosso, dopo aver trascorso la Pasqua in città riparte il giorno dopo per un ben più grave problema: l’incursione dei Normanni a nord del regno.
Gia due giorni dopo l’ex foro romano, che solo qualche ora prima aveva visto cadaveri sventrati dai colpi di spada dell’una e dell’altra fazione, riprende con i suoi commerci.
Secondo lo storico Donald Bullough, proprio in questa piazza di Pavia ci sono i maggiori scambi, con un mercato pressoché regolare.
La città comunque , non conosce un nuovo periodo di splendore. Qualche anno più tardi, e qualche regnante dopo, la storia ricorda un altro fatto di sangue. Bisogna spostarsi di nuovo fuori dall’attuale centro storico, e tornare alla Vernavola, polmone verde che ha resistito nei secoli alla cementificazione della città, per quanto oggi sia sfregiato dal passaggio della tangenziale Nord.
Proprio qui Guido da Spoleto, che dopo il crollo dell’impero carolingio vivrà un breve periodo nientemeno che da re d’Italia e imperatore nei convulsi anni attorno alla fine dell’800, appresta le difese per difendere la città dall’ennesima aggressione di Arnolfo, condottiero che si dichiara di origini longobarde e che forse rivendica diritti su queste terre. Fatto sta che anziché presentarsi di persona in testa alle truppe, affida l’impresa al figlio, Zventibaldo.
E’ la primavera dell’893 e il bosco della Vernavola sta sbocciando con i suoi mille colori, proprio come avviene oggi.
Al posto dello scontro fra due eserciti, si sfidano il figlio Arnolfo e tale Ubaldo che si stacca dalla chiesa italica brandendo una spada. Zventibaldo, lo irride, fa evoluzioni con il suo cavallo, ma Ubaldo va dritto al sodo. O meglio, al cuore, con un colpo di lancia che lo uccide sul colpo. Scende da cavallo, spoglia il cadavere dell’avversario e lo getta proprio sul greto del torrente che ancora oggi scorre placido, tornando trionfante dai suoi.