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Quando gli operai furono reclusi al castello visconteo

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Le prime avvisaglie della fra quelle che sarò la classe operaia e i “padroni” fanno il loro esordio in questo periodo.

Il primo scontro si ha nella palazzina dove oggi ha sede il quotidiano la Provincia Pavese. Qui infatti, all’inizio del secolo, c’è la ditta Moncalvi, azienda leader fino agli anni Ottanta del secolo scorso, nella realizzazione di pompe industriali. Il malcontento per orari lunghi, condizioni di lavoro stressanti, paghe non sempre all’altezza, esaspera gli animi.

Protestare è quasi impensabile, per quei tempi, dove il padrone fa il bello e il cattivo tempo.

I lavoratori decidono comunque di incrociare le braccia, fino  a quando le loro richieste non verranno accolte. A nulla valgono le minacce dei proprietari. Gli operai lottano per migliori condizioni di lavoro e salari più alti. Non c’è nessuna trattativa sindacale, come succede oggi, anche perché il sindacato non è ancora nato. La questione si risolve per le spicce. Si chiamano i carabinieri. Nella palazzina sul Naviglio fanno irruzione i militari, con le cattive trascinano fuori i ribelli. E’ la prima protesta collettiva nell’industria pavese.

Per un’astensione dal lavoro di poche ore , gli operai delle officine Moncalvi vengono puniti con la reclusione al Castello Visconteo.

Purtroppo, a parte il nome della fabbrica dove questo avviene, non vengono forniti ulteriori particolari sul giorno, l’anno e il numero di lavoratori coinvolti. Si sa che sono fra gli anni 1910 e il 1915, probabilmente a ridosso del conflitto al Castello Visconteo.

Nel 1911 a trainare il settore è quello metallurgico, con 1173 operai. Da lì a qualche anno , fioccano per come la Moncalvi e la Necchi contratti d’oro per la produzione di granate, spolette e altre parti di armi.

E’ il business della Prima Guerra Mondiale. A tutti , più o meno indistintamente , la congiuntura bellica offre una cornice straordinariamente remunerativa e incentivante, grazie alle numerose commesse che piovono sugli imprenditori pavesi che vedono aumentare i propri profitti. Si ampliano gli impianti di produzione , si recluta nuova manodopera, spesso improvvisata. La maggior parte degli uomini e delle donne che vanno a lavorare nelle fabbriche sono infatti contadini.

Nel giro di pochi anni, la composizione interna della classe operaia pavese, le sue condizioni di vita, variano e peggiorano visibilmente . I ritmi di lavoro si inaspriscono, aumentano gli infortuni, il cottimo è pagato poco e male. A parte il caso della Moncalvi,però, non si registrano forti proteste.

Così l’espansione e l’ammodernamento della città non conoscono sosta.

Nei primi del ‘900 si affaccia un progetto destinato a cambiare per sempre la storia urbanistica della città. Torniamo in Strada Nuova, cuore di Pavia. Qui, accanto all’università, c’è ancora la sede dell’ospedale fondato nel 1449. I tempi sono maturi per un nosocomio moderno che alle motivazioni igienico  sanitarie unisca le esigenze di ricerca scientifica.

Ci vuole insomma un complesso che assolva a entrambi i compiti, con vaste cliniche strutturate per il ricovero secondo i criteri moderni e dotate di ambienti attrezzati per il ricovero secondo alcuni criteri moderni di ambienti attrezzati per farlo.

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Camillo Golgi

Camillo Golgi, premio Nobel per la Medicina nel 1906, propone l’area dell’ex piazza delle Armi, ma viene scartata. Si pensa anche all’area “Mettica”, in località Torretta, sul terreno di proprietà del Collegio Borromeo, nell’attuale corso Garibaldi e lungo il Ticino. Ma neppure questo va bene. L’attenzione si concentra allora sulle aree Caima e Deserto, a nord-ovest della città, al di là del Navigliaccio. Qui sorgerà il futuro policlinico San Matteo, così come lo conosciamo oggi.

Il progetto è datato 1913, ma verrà aperto solo diciannove anni dopo, nel 1932-

In questi anni viene realizzata un’altra opera storica. Si prende la strada provinciale che porta in oltrepò, in direzione del Comune di Linarolo, a una decina di chilometri da Pavia. Alla confluenza fra il Po e il Ticino ci sono decine, decine e decine di operai con la schiena curva sui piloni di quella che sarà la prima opera pubblica rilevante per l’intera provincia: Il ponte della becca. E’ il 1910. Ma la sua storia parte molto prima.

E’ la necessità di favorire il commercio delle uve prodotte in Oltrepò pavese verso Pavia e il resto della Lombardia, a far nascere l’idea di un punto di trasbordo da una riva all’altra. Il primo tentativo, esattamente dove oggi la struttura in ferro collega le due sponde, è un ponte di barche, a metà dell’ottocento. Ma la soluzione si rivela inadeguata poiché non garantisce il regolare commercio dei prodotti a causa delle piene dei fiumi.

Nel 1881 viene istituito un primo comitato per la realizzazione della Becca di un ponte stabile, sostituito da un secondo nel 1885.Si arriva alla redazione di un progetto, affidato per la realizzazione alle principali imprese che operano nel settore delle costruzioni metalliche del tempo, tra le quali la Società Nazionale settore delle costruzioni metalliche del tempo, tra le quali la Società Nazionale Officine di Savigliano e la ditta Larini Nathan di Milano.

Sono queste le due imprese che, dopo la stesura del progetto definitivo risalente al 1909  e la nascita di un consorzio tra i comuni interessati al progetto, iniziano i lavori iniziano i lavori di costruzione del ponte che terminano nel 1910.

E, mentre la periferia fiorisce di opere, anche in città ci sono grandi cambiamenti. La rivolta degli operai della Moncalvi è solo la punta dell'iceberg. Nella sede della palestra civica, ancora oggi in via Luigi Porta al 13, il giornalista Cesare Battista e il sindacalista Filippo Corridoni incendiano gli animi con i loro discorsi. I due patrioti / intellettuali vengono spesso in città a dar man forte ai giovani pavesi che si infiammano di fronte alla prospettiva di una nuova guerra contro l’Austria, il nemico odiato e mai dimenticato.

Ancora una volta è l’università l’epicentro del nuovo fuoco patrio.

L’aula VI, per la precisione. Qui, risuonano le voci illustri dei docenti , che incitano a completare l’opera iniziata nel Risorgimento . Allo scoppio della guerra, Pavia viene dichiarata “città ospedaliera”, con la requisizione dei collegi universitari e altre strutture. Si arriverà a contare fino a duemila posti letto per i feriti. Nel 1917, dopo la rotta di Caporetto , la città – dove si è proceduto intanto alla demolizione di gran parte delle mura spagnole – viene provata dall’ennesima eccezionale piena che ha invaso Borgo Ticino.

E’ proprio in questo periodo che anche Pavia conosce un breve ma intenso periodo legato al futurismo.

Nei bar del centro storico appare una tavola parolibera dal titolo “Lungo il Ticino”. Si tratta di un tipo di componimento letterario dove il valore estetico della poesia è affidato al rapporto fra la parola e immagine. Gli autori sono due giovani artisti , Angelo Rognoni e Gino Soggetti, fulminati dal movimento artistico nascente di Tommaso Marinetti. E proprio Marinetti in persona , nell’inverno del 1916, è presente al teatro Guidi ( oggi è stato abbattuto), che ha sede in Viale Matteotti, una serata in cui si potrà ascoltare il discorso programmatico del fondatore.

Costruito nel 1865, il teatro Guidi è quello che oggi definiremo un teatro all’avanguardia. Ospita spettacoli di vario genere, da manifestazioni sportive a eventi mondani. Nel 1920 accoglie addirittura un circo, riscuotendo un grande successo di pubblico. Attivissimo fino agli anni Trenta, chiuderà i battenti nel 1935. Chi invece vuole raggiungere i teatri di Milano deve andare in piazza Petrarca. Qui , già alla fine dell’800, è arrivato il “Gamba de legn". La linea ferroviaria, a vapore, a scartamento ridotto, costituita da un solo binario di esercizio, interessa la statale 35 dei Giovi , nella tratta tra Pavia e Milano, funziona dal primo agosto 1880. Chiuderà il 29 febbraio 1936.

Spostandosi di mezzo chilometro, ci si dirige nella zona di Corso Cavour, con le sue scintillanti vetrine. L’inizio della sua ascesa commerciale, ancora oggi sotto gli occhi di cittadini e turisti, si può ricondurre al periodo antecedente la Grande Guerra. Nel primo decennio del 1900, la proprietà di palazzo Bottigella concede che venga utilizzata pubblicamente l’area verde di sua pertinenza che fiancheggia l’immobile. Viene abbattuto il muro sul fronte del corso Cavour e con l’autorizzazione e il vincolo della sovrintendenza dei monumenti, viene realizzato un locale di ristoro appoggiato alla parete occidentale dello stesso edificio. Il completamento del locale avviene nel 1915 quando, con progetto di Ercole Lanfranchi , viene realizzata e applicata una facciata in lamiera e un’insegna che indica : Caffè Kursaal Giardino. All’esterno, nella stagione estiva sono allineati tavolini e sedie : il locale , sia per la strategica posizione di fronte al palazzo del Tribunale, sia per la vicinanza alla stazione ferroviaria, acquista velocemente una posizione di rilievo nel settore di ristoro pavese, facendo presto concorrenza allo storico Demetrio.