Porta Cavour e il Signor Ambrogio Necchi: Il boom delle fabbriche nei primi del Novecento
Porta Cavour e il Signor Ambrogio Necchi: Il boom delle fabbriche nei primi del Novecento
Ambrogio Necchi nasce il 2 gennaio 1860, un anno prima dell’Unità d’Italia.
E prima di altri capisce che i tempi stanno cambiando. Eredità del nonno e del padre un’officina di fonderia e soprattutto la passione per il lavoro. A vent’anni si dedica all’azienda che aveva sedi nei pressi del Collegio Germanico – Ungarico, oggi Cairoli.
La fonderia Necchi lavora la ghisa, e ancora nessuno conosce il suo nome, a parte chi è nel settore. Ambrogio è un tecnico esperto e vigoroso organizzatore , fiuta l’aria che gonfia le vele dell’industria in espansione e si imbarca coraggiosamente nell’impresa di trasformare in qualcosa di più grande l’eredità paterna
Nel 1903 inizia la produzione della cosiddetta ghisa malleabile, molto usata per pezzi di ricambio di macchine, radiatori per riscaldamento, raccordi. L’idea sembra funzionare, la vecchia sede della fabbrica non basta più ad accogliere tutte le macchine e, via via, la manodopera che serve per fa decollare la ditta.
La sua azienda , che a fine Ottocento dà già lavoro a un centinaio di operai, si espande insieme ai confini della città.
Anche Pavia infatti fra la fine del vecchio secolo e l’inizio del nuovo, è in fermento. Il nuovo stabilimento, viene ultimato nel 1907. E sorge fuori porta Cavour, vicino al ponte di Pietra, strategicamente accostato alla ferrovia, che prende il nome di Riccardo.
La ditta cambia nome e si chiamerà, d’ora in avanti, società anonima fonderie Ambrogio Necchi.
Ambrogio Necchi
Il Comune, in questo periodo favorisce, anzi spinge a investire chi ha inventiva e coraggio.
E il signor Ambrogio non si tira indietro. Così un altro stabilimento è aperto subito dopo nell’attuale viale Trieste, detto Circonvallazione, e ancora oggi ne sopravvive la palazzina direzionale in piazza Dante.
Ambrogio Necchi dimostra l’attaccamento alla sua creatura che cresce, costruendo la casa di famiglia accanto al primo nucleo dell’azienda, in corso Cairoli: è lo stabile, dalle linee di un liberty borghese, oggi occupato dal Collegio Marianum. Dopo il matrimonio con Emilia Carcano, qui crescono i figli Gigina, Nedda, Vittorio.
Lo sguardo è sempre lungimirante, il passo deciso: nel 1911 acquista una enorme area nella zona dell’antica piazza d’Armi, sull’attuale sponda dei Navigli, per espandere e razionalizzare la produzione, ma l’idea resta sospesa momentaneamente a causa della guerra.
Lo sviluppo procederà bipartito. Dal 1925-26, nelle sue aziende indipendenti Neca (diretta da Angelo Campiglio, marito di Gigina) e Necchi Macchine per cucire, fondata da Vittorio.
Intanto i dipendenti passano da 860 a 1150. La storia dei Necchi resta indissolubilmente legata a quella di Pavia. Nemmeno la grande guerra ferma l’affetto di Ambrogio per la città. Il suo nome è citato spesso accanto a consistenti contributi per le varie iniziative di assistenza che fioriscono nella “città ospedale”.
Pavia è incredula quando, il 18 aprile 1916, viene dato l’annuncio della morte del primo, vero imprenditore moderno pavese. La presenza ai funerali di altri grandi nomi dell’imprenditoria, come Ercole Marelli ed Edoardo Bianchi, dimostra l’importanza dell’uomo e dell’opera.
Il comando passa in mano al figlio. Vittorio, tornato dal fronte al termine del conflitto. Assume la guida dell’azienda di famiglia e decide di affiancare alla tradizionale attività la produzione di macchine per cucire uso famiglia. Nel 1919 costituisce le Industrie Riunite Italiane con 50 dipendenti, che l’anno successivo arrivano a produrre un totale di duemila macchine, legando per sempre il maschio Necchi a quel prodotto.
Il nome del fondatore, Ambrogio, ha campeggiato fino a pochi anni fa su quello che si poteva considerare il suo vero monumento, la Scuola Professionale. Iniziata dal Comune nel 1917 nella ex Casa di Industria, convento di Santa Maria delle Cacce, nell’attuale via Scopoli, ha una sede moderna e grandiosa progettata dall’architetto Carlo Morandotti, viene costruita ne 1938-40 nella nascente Città giardino. Cioè nel nuovo quartiere di fronte all’istituto di Maria Ausiliatrice.
L’inaugurazione, che avviene nel 1941, vede come madrina la figlia Nedda, che in quell’occasione rappresenta non solo la memoria del padre ma anche la cospicua partecipazione della famiglia alle spese di costruzione. Ma nel 1994 la scuola , nella quale si sono formati generazioni di ottimi operai specializzati e tecnici, muta quel nome così storicamente significativo, con quello del matematico Luigi Cremona.
Resta, sull’ingresso, l’antica insegna, brunita nel tempo che insieme all’intitolazione di un viale semiperiferico compone un bel piccolo risarcimento alla memoria di un personaggio che ha legato il suo nome a questa città.
Ma Necchi non è l’unico protagonista di questa epopea industriale pavese.
Si ritorna verso Porta Cavour, a ridosso di quella che oggi si chiama piazzale Minerva. Qui apre la fabbrica del ghiaccio artificiale , mentre la Ditta Malgara, rivela il cappellificio artigianale De Silvestri e lo trasforma, grazie all’introduzione di macchinari , in un’azienda per l’epoca all’avanguardia.
L’attuale via Nazario Sauro, fa parte della zona , che agli inizi del novecento è nota come bastione della Villetta. Qui, l’ingegner Pietro Cattaneo, con il fratello Angelo, installa la prima fabbrica di essiccatoi per cereali.
Gli anni Dieci vedono la trasformazione della società pavese da prettamente agricola ad industriale.
Accanto a Necchi, sorgono infatti altre fonderie, come quella dell’ing. Moncalvi & C.
Ci si trova ancora nella zona ovest della città. Ci sono i campi ,come del resto anche oggi , quando la Ditta Moncalvi acquista oltre duemila metri quadrati di terreno per aprire una fabbrica che ripara macchine agricole, motori a scoppio e a vapore.
Questa azienda rappresenta in pieno il cambiamento in atto e la trasformazione da società agricola e industriale , mantenendo la propria attività a cavallo fra le due epoche.
La vecchia città, quella all’interno delle mura spagnole, inizia a perdere la propria centralità.
Nel 1905, sempre grazie alla spinta delle amministrazioni comunali che offre anche vantaggiose condizioni di offerta, la ditta Pacchetti, una grande società milanese per la manifattura di crine animale, sceglie Pavia per ‘apertura di un nuovo stabilimento. L’area è quella dell’attuale zona nord della città. Appena fuori quella che oggi si chiama Porta Milano.
Si resta sulla direttrice Pavia – Milano. In quella zona che oggi è la trafficatissima ex statale dei Giovi. La ditta Pirola chiede spazio per avviare una fabbrica per la lavorazione della pasta del legno.
La concorrenza c’è, ed è spietata anche allora. Nel giro di pochi anni, la fonderia simbolo della città ingloba le due vicine, Pacchetti e Pirola appunto, per dare vita a un maxi polo industriale di 190 mila metri quadrati.
E’ tra l’attuale viale Indipendenza e la linea ferroviaria Milano- Genova, che nel 1917, a un anno dopo la morte del fondatore , Ambrogio, prende vita la collocazione della fabbrica destinata a rimanere, con alterne vicende, fino a qualche decennio fa.
Nel frattempo un’altra area viene interessata all’industrializzazione. E’ quella ovest della città, fuori dall’attuale Porta Garibaldi. E’ ben servita da strade , ferrovie, e idrovie, grazie al Naviglio.
Nel 1907 la Società Italiana per la lavorazione della seta artificiale apre un grande stabilimento in località Dossino. La conseguenza è anche abitativa. Nei pressi della chiesa di Santa Teresa, qualche anno più tardi,e cioè nel 1925, iniziano a sorgere le prime villette per impiegati, poco distante dall’attuale cimitero di San Giovannino. Gli imprenditori prendono letteralmente d’assalto le aree ancora agricole appena fuori città.
Nella grande epopea pavese iscrive il suo nome anche la già citata ditta Moncalvi, seguita dalla Cester, nella zona di Porta Cairoli. In questo periodo apre i battenti anche la Snia Viscosa. Nel 1925 è la prima società italiana con un capitale sociale pari a un miliardo di lire, oltre che la prima ad essere quotata in una borsa estera. (Londra e New York).
I fermenti del decennio fanno registrare cifre da capogiro: la sola Pavia ha 492 imprese industriali che impiegano oltre seimila addetti. Ma non saranno tutte rosa e fiori. Industrializzazione vuol dire manodopera, manovalanza, operai. Vuol dire le prime battaglie per i diritti nelle fabbriche.