Le bombe sul ponte coperto. Il “ratto” del rettore e il mistero della salma di mussolini alla Certosa.
Le strade sono deserte, la tensione è alle stelle. I nazisti installano alla Gil (la Gioventù italiana del littorio) il complesso formato da due edifici posti perpendicolarmente tra loro, con la facciata che dà sul viale che a quel tempo era denominato XVIII Novembre ,già il Belgio, ora viale della Resistenza, attualmente sede del Collegio universitario Cardano).
Qui, si insediano anche i reparti delle SS e della X Mas. Ma il centro del comando nazista è a villa Casati (nell’attuale viale Matteotti) e nella Casa dello studente , oggi collegio Valla (vicino al ponte della Libertà, alllora chiamato dell’impero)
Distaccamenti ci sono anche al Castello Visconteo.
Esclusivamente riservati ai militari tedeschi sono gli ospedali militari creati al Ghislieri e al Forlanini, mentre il Borromeo è a disposizione degli Italiani. Sempre al Ghislieri c’è un secondo comando delle SS.
Un magazzino per il materiale di casermaggio viene aperto nell’area di San Pietro in Ciel d’Oro, con accesso da viale XI Febbraio, mentre alla Necchi si insedia il genio ferrovieri.
Al liceo Taramelli, in via Mascheroni, ha sede operativa un reparto italiano addetto alla ricerca dei renitenti. In piazza della Vittoria, al Broletto, sede del partito fascista repubblicano. Qui si trova anche un ufficio di reclutamento delle SS italiane. Oltre al comando delle Brigate Nere.
Ma anche gli antifascisti si organizzano. E’ nello studio dell’avvocato Giuseppe Sinforiani, in Via Mazzini, che nasce già all’indomani del 25 luglio un vero e proprio comitato di liberazione.
Pavia, però, farà conoscenza diretta degli orrori della guerra, almeno sulla popolazione civile, solo un anno più tardi.
Camminare oggi sui marciapiedi del centro, fra i passanti spensierati e indaffarati negli acquisti, percorrendo la salita di Strada Nuova, può essere piacevole. Così come è normale fermarsi al centro del ponte Coperto e ammirare da sopra la lenta maestosità del Ticino. Ma il 4 settembre del 1944 la situazione è ben diversa. I nazi-fascisti sono nella morsa degli Alleati, da sud a nord. Alla mattina le formazioni delle “fortezze volanti” appaiono minacciose sui cieli di Pavia.
L’obiettivo sono proprio i ponti.
Le prime bombe cadono su quello della ferrovia, che si disintegra letteralmente. Poi tocca a quello dell’impero, che però subisce danni irrilevanti.
Gli aerei della RAF sono imprecisi. Gli ordigni seminano morte invece in Borgo Ticino, nella zona di Porta Salara e in via della Rocchetta. I morti sono 26. Il giorno dopo, il 5 settembre, c’è il secondo attacco. Viene distrutta la prima arcata del ponte dell’impero ( questa volta parzialmente centrato). L’obiettivo, il ponte Coperto, viene ancora mancato. In compenso, ci sono oltre 45 vittime in Borgo.
Il terzo attacco si ha il 12 settembre. Le bombe, ancora una volta, sono nettamente fuori bersaglio. Di nuovo morti, distruzione. Sull’attuale via dei Mille e via Acquanegra piovono decine di ordigni. Qui, in una cascina, ci sono nascoste una cinquantina di persone. Non ne sopravvive una.
Martedì, 26 settembre, a mezzogiorno preciso, un nuovo stormo di bombardieri riprende direttamente il bersaglio del ponte simbolo di Pavia; alle ore 12,10 un sibilo sinistro e una scossa terrificante avvertono tutta la cittadinanza nascosta nei rifugi d’una nuova rovina: l’ultimo grande arco del ponte Coperto . verso il Borgo, centrato in pieno, questa volta crolla. Al tempo stesso, di tutto il Lungo Ticino sino alla basilica di San Teodoro e sin quasi all’altezza di via Cardano, non rimangono macerie.
I tre passaggi sul fiume sono ora tutti irreparabilmente danneggiati. La missione è compiuta. In tutto, sono morte 119 persone.
L’inverno del ’44 sarà quello più duro per la popolazione, chiusa nella morsa dell’offensiva nazi-fascista, dei rastrellamenti da una parte, e delle incursioni partigiane dell’altra. Ma l’avanzata delle armate alleate è inesorabile.
Bisogna tornare davanti all’università, perché ancora una volta da lì arriva la svolta. Il 12 aprile del 1945, verso sera, alcuni studenti “resistenti” mettono a segno un colpo di teatro che lancerà alla città il segnale della resa dei conti. E’ il “ratto del rettore dell’università”, come lo chiama Guderzo nel suo libro.
Il fascistissimo professor Carlo Vercesi – racconta Guderzo – viene attirato in una trappola. L’operazione prevede che un’esca, costituita da una millantata presenza di un suo conoscente, chieda un urgente colloquio riservato per ragioni di sicurezza.
Vercesi all’incontro si trova davanti invece un commando formato da giovanissimi che, pistola in pugno, lo costringono a seguirlo prima a San Lanfranco, alla periferia della città, e quindi in barca oltre il Ticino. Il rettore, sulla canna della bicicletta, viene portato fino a Zavattarello , dove lo attende un commando di partigiani.
L’eco dell’impresa, in città, è enorme. Il giorno dopo, altri studenti, sfuggendo al controllo dei Bidelli e custode si fanno chiudere all’interno dell’università e nella notte fra il 20 e il 21 aprile la tappezzata di manifesti e scritte antifasciste. Per completare l’opera, una bandiera rossa viene innalzata sulla torretta dell’orologio.
Comincia l’inizio della fine per i nazi-fascisti.
Il 27 aprile entreranno in città le prime formazioni partigiane. I tedeschi si arrendono senza neppure sparare un colpo.
Ora bisogna spostarsi a 15 chilometri da Pavia e percorrere l’ex statale dei Giovi in direzione della Certosa, perché il tragico periodo legato alla Seconda Guerra Mondiale si chiude qui, un anno dopo la Liberazione. E’ con un giallo. E’ lunedì 12 Agosto 1946 quando la salma di Benito Mussolini viene ritrovata alla Certosa avvolta in due sacchi di tela gommata, chiusa in un baule di legno rinforzato di ferro. Lo stupore è generale, non solo per i pavesi ma per l’Italia intera.
Il trafugamento del cadavere del duce è avvenuto infatti qualche mese prima : uomini del partito democratico fascista, la notte tra il 22 e il 23 aprile. L’hanno dissotterrato di nascosto e portato via dal cimitero Maggiore di Milano, dove era stato sepolto il 5 agosto del 1945, Da allora più nessuno aveva saputo nulla del corpo. Il ritrovamento scatena subito, come prevedibile, una bufera.
Soprattutto sui frati dell’abbazia : per quanto tempo i resti sono stati nascosti nel complesso monumentale della Certosa? Chi li ha portati? E soprattutto , perché?
In un'intervista rilasciata alla Provincia Pavese, il 14 Agosto 1946, padre Heldens racconta la sua versione dei fatti” Il 12 Agosto , alle 13.30 – ricorda il priore nell’articolo pubblicato 72 anni fa – vengo avvisato che un’ auto sconosciuta è entrata nel monastero della foresteria. Un certo padre Alberto Parini dell’ordine dei frati minori francescani, desidera un colloquio. Appena gli vado incontro mi chiede se sono a conoscenza del furto del cadavere di Mussolini. Rispondo di sì , ma che non mi interesso di ciò che succede fuori dalle mura della Certosa. Allora il francescano mi dice che la salma del duce è sull’automobile parcheggiata all’interno del complesso, mi dice che bisogna darle una sepoltura dignitosa, seppur segreta. Faccio trasportare il baule in una cella del parlatorio, però metto in chiaro che non acconsento a fare del monastero la tomba del dittatore Parini mi assicura che in serata qualcuno preleverà la carcassa portandola alla sua finale sepoltura.”
Alle 19.45, un’altra auto si ferma davanti all’antico monumento : il cadavere è stato scoperto, forse la fidanzata di uno degli uomini della Pdf o Parini medesimo hanno denunciato la sua localizzazione, così il questore di Milano Vincenzo Agnesina, si presenta quella sera stessa alla Certosa, carica il baule con la salma sul veicolo e se ne va.
Poi arriva, inevitabilmente, l’assalto dei giornalisti: vogliono sapere dei monaci, l’itinerario passato del corpo e la sua futura destinazione. Si scatena immediatamente una ridda di domande, congetture, ipotesi sul perché proprio alla Certosa di Pavia arrivi, quel pomeriggio, la salma del dittatore.La verità è ancora avvolta nel mistero.
Andare al mercato sotterraneo diventa un avvenimento, quasi un viaggio turistico. La severa piazza che aveva visto le esecuzioni del Tribunale dell’inquisizione, delle rivolte giacobine e, più di recente, la sede del comando della repubblica sociale fascista, si trasforma nel luogo del moderno commercio dello “struscio” cittadino.