La spogliazione di Pasquino Cappelli: il fantasma murato nelle mura del Castello di Pavia
La tragica fine di Pasquino Cappelli, murato vivo per un presunto tradimento al Castello Visconteo di Pavia, tra torture, silenzi e un errore fatale
C'è un punto, nelle ombre silenziose del Castello Visconteo di Pavia, dove il tempo pare essersi fermato. Un punto che nessuno conosce con esattezza, ma che si sospetta nasconda una delle storie più nere — e più tragicamente umane — della dinastia viscontea. È lì che, secondo le cronache oscure tramandate da voce in voce, sarebbe ancora murato il corpo martoriato di Pasquino Cappelli, vittima innocente di un errore tanto crudele quanto irrimediabile.
La tortura “a vista”
La vicenda si colloca alla fine del XIV secolo, durante il dominio di Giangaleazzo Visconti, il primo duca di Milano, signore colto, raffinato, ma capace di una spietatezza feroce quando si sentiva tradito. Accusato di aver tramato il tradimento di Governolo, località strategica contesa tra Visconti e Gonzaga, Pasquino Cappelli, uomo di corte, viene arrestato senza processo.
La punizione? Di una teatralità crudele. Spogliato completamente, il povero Cappelli viene avvolto in una pelle di animale ancora calda, quindi murato vivo fino al collo in un’intercapedine delle mura del castello pavese. La testa lasciata libera non è un atto di clemenza, ma un cinico stratagemma: serve a prolungarne l’agonia, nutrendolo per giorni e costringendolo a guardare in faccia il suo carceriere.
Ogni giorno, Giangaleazzo in persona lo visita, interrogandolo con una sola richiesta: confessare. Ma Cappelli non cede. Nessuna parola, nessun grido, solo silenzio e resistenza. E così la pelle dell’animale, lentamente, si asciuga e si stringe attorno al suo corpo, fino a soffocarlo. Una tortura che si consuma in una ventina di giorni. Una morte lenta, atroce, esemplare.
L’errore tragico
Soltanto anni dopo, quando il Visconti firma una tregua con la rivale Mantova, giunge la rivelazione: i mantovani avevano falsificato la firma e il sigillo visconteo, orchestrando un inganno perfetto per colpire dall’interno. Cappelli era innocente. Vittima non di un tradimento, ma di un’abile macchinazione politica.
Giangaleazzo, raccontano le cronache, ne fu profondamente scosso. Eppure, non ordinò mai di riesumarne il corpo. Forse per vergogna, forse per orgoglio, o forse perché sapeva che nulla avrebbe potuto cancellare quel crimine.
Un muro come sepolcro eterno
Da allora, il corpo di Pasquino Cappelli sarebbe rimasto murato da qualche parte nel Castello Visconteo di Pavia. Nessuno sa dove. Nessun documento ne parla con precisione. L’unico indizio? Le mura settentrionali, le uniche andate perdute — distrutte dai francesi nella prima metà del Cinquecento.
È lì, forse, che si trovava la cella invisibile dell’innocente Cappelli. È lì che, magari, le sue ossa sono state finalmente liberate e restituite alla terra, senza onori, senza memoria, senza un nome inciso su una lapide.
Ma nella pietra del Castello, qualcuno giura di sentire ancora, nelle notti più fredde, un sussurro. Un respiro. Una voce che non ha mai confessato.
M.D.