la scelta di rotari, san michele entra nella storia grazie a un servo in fuga.
la scelta di rotari, san michele entra nella storia grazie a un servo in fuga.
“Le leggi dei nostri padri non sono scritte”. E a questo bisogna porre rimedio, se si vuole che un regno possa trasformarsi in uno stato duraturo. Questa deve essere stata la riflessione, in parte contenuta nelle prime pagine del testo, del re dei Longobardi, Rotari, quando decide di promulgare un editto per cui è famoso.
E’ il novembre del 643. Purtroppo le fonti non riportano notizie su dove e come la legge scritta viene messa nero su bianco o presentata al popolo. Ma non è azzardato ipotizzare che tutto si sia svolto nel palazzo regio che si estendeva nella parte settentrionale della città, come si è visto, e di cui oggi non c’è più traccia.
Alla superiorità militare barbara si contrappone, ancora una volta, quella culturale latina. Le leggi infatti, vengono scritte proprio in questa lingua, a dimostrazione del piegarsi, alla fine, dei Longobardi alla superiore civiltà romana.
Rotari, in sostanza , redige una sorta di codice civile e penale, sulla scorta della tradizione orale tramandata dalla consuetudine barbarica mai però prima di questo momento precisate. Come la faida, cioè il diritto a vendicarsi, e il guidrigildo, il compenso dovuto all’offeso che per questo rinuncia al diritto di uccidere il rivale. La società longobarda, così come presentata nell’editto, appare rigidamente militare, articolata sulla differenza fra uomini liberi, semi liberi e schiavi.
A lasciare, invece, una traccia tangibile del regno longobardo non è il sovrano più noto, ma uno meno conosciuto, Ariperto. A lui, cristiano, si deve la fondazione della Chiesa di San Pietro in Vincoli, fra quella che oggi è via Volturno e Strada Nuova, di cui però non rimane più traccia.
Alla sua morte, per il regno longobardo si apre un periodo di lunga crisi.
Si succedono re per una notte (o poco più). I luoghi di oggi raccontano però ancora gli avvenimenti di ieri. Allora si riprende il cammino verso la parte più occidentale della città. Si torna in quella che oggi si chiama piazza XXIV Maggio e che abbiamo già ripetutamente incontrato nella storia della città, sin dal primo insediamento preistorico. Si è visto come nella Ticinum romana sia un luogo a ridosso delle mura di cinta. Appena oltre, un po' come adesso, scorre il fiume
Dal punto più alto delle mura, dopo il 660, fugge Bertarido, re a due riprese del regno ormai in preda alla dissoluzione. E’ notte,quando si cala dal caminetto per sfuggire al rivale Ariperto. Passato a nuoto il Ticino, Bertarido si dilegua nelle campagne del Siccomario. Si salverà, tornando re una seconda volta dal 661 al 668. Nel punto in cui si era calato, farà erigere un monastero, intitolato Sant’Agata(forse perché la fuga era stato il giorno dedicato a questa santa, cioè il 15 febbraio) i cui resti erano visibili fino a non molto tempo fa.
Paolo Diacono racconta che nella fuga, si dilegua anche il servo Bertarido, Unulfo.
Non sarebbe mai passato alla storia questo personaggio, se non si fosse nascosto in San Michele Arcangelo, chiesa fondata qualche anno prima proprio dai Longobardi, che qualche secolo più tardi diventerà San Michele Maggiore, capolavoro romanico tra i più noti al mondo.
Ma la città in questo periodo è però l’ ombra di se stessa. Decenni Di dominazioni barbare, assedi, battaglie,hanno trasformato profondamente Ticinum. I vecchi edifici romani sono semidistrutti. I rossi mattoni delle insulae sono stati utilizzati per costruire nuove case o chiese. Le mura sono Sbrecciate.
Paolo Diacono
Si fa una passeggiata di nuovo attraversando il centro, verso l’attuale via scopoli.E’ sempre Paolo Diacono a informarci che Bertarido fa aprire una porta per essere vicino al palazzo. La porta viene detta Palacense, da cui il nome dell’attuale via La lapide , con la scritta divenuta col tempo illeggibile “Hic erat Porta Palacense", non c’è più, ma è stata di recente recuperata e restaurata.