La quercia del maresciallo Radetzky
Oggi le targhe che ricordano i soggiorni dei maggiori protagonisti del Risorgimento fanno bella mostra sui muri di case e palazzi. Ma negli anni caldi fra il 1848 e il 1850 l’arrivo degli uomini che avrebbero fatto la storia dell’unità d’Italia era avvolto dal massimo riserbo.
Ci sono però delle eccezioni. Al civico 1 di quella che oggi porta il suo nome, arriva ospite di alcuni amici, annunciato della Gazzetta di Pavia, l'avvocato Giuseppe Mazzini”. Emaciato, con un filo di barba, ombroso e appassionato allo stesso tempo, il fondatore della "Giovine Italia” si ferma giusto un paio di giorni , di ritorno da Milano, protagonista della cacciata degli austriaci. Ancora una volta, bisogna proprio alzare la testa in su per accorgersi della lapide a ricordo del breve soggiorno, fissata al muro fra due cancellate, in quella che oggi è appunto corso Mazzini. La medesima targa, infatti, “ospite di amici pavesi” Mazzini si ferma giusto un paio di giorni alla fine di aprile. Non dice chi lo ospita e perché: si sa solo che sta tornando, per l’appunto, dal capoluogo lombardo dopo le cinque giornate.
Lo si può solo immaginare mentre in città incontra fugacemente qualche seguace. Poi riparte a bordo di un calesse non prima però di essere stato omaggiato dalla nuova municipalità. Era ed è , pur sempre, il simbolo della causa italiana.
Lasciandosi alle spalle la targa in ricordo di Mazzini, si va alla ricerca della presenza di un’altra icona della storia patria: Giuseppe Garibaldi. E’ già l’eroe dei due Mondi quando, camicia rossa sotto il poncho, sguardo fiero e profondo, entra in città senza problemi, due mesi dopo Mazzini. E’ rientrato dall’Uruguay il 21 giugno e un mese dopo giunge in città per venire a trovare un suo giovane commilitone con il quale ha combattuto proprio laggiù: Gaetano Sacchi.
Garibaldi , in questo periodo, è sconosciuto ai più. Almeno al popolo, quello che solo qualche anno dopo lo accoglierà come una star ovunque vada. Gli amministratori però. Sanno bene chi è .Quello di cui non sono al corrente è la sua improvvisata. Perché di quello si tratta. La prima notte, il generale la passa infatti a chiacchierare in tutta tranquillità con il suo commilitone, in una casa Contrada dell’Acqua ( il tratto più basso dell’attuale via Volta). Non c’è nulla che ricordi , in questo caso il suo passaggio. C’è invece una lapide che ricorda la sua seconda notte passata a Pavia.
Bisogna tornare indietro, allora, verso Strada Nuova. E dirigersi quasi di fronte al Fraschini. Fermandosi davanti a questo palazzo, si torna a quel lontano 19 luglio 1848. Al mattino gli amministratori vengono a sapere della sua presenza e stavolta non si lasciano cogliere di sorpresa. Preparano un comitato di accoglienza con tutti gli onori. Verso sera, lo si vede varcare il portone del palazzo del podestà Carlo Cairoli, padre dei futuri eroi risorgimentali. La targa, ancora oggi affissa, ricorda questo momento.
A Pavia sarebbe tornato ancora una volta una decina di anni più tardi, nell’aprile del 1862, questa volta fra due ali di folla osannante, carico di gloria e celebre in tutto il mondo. E sarà ancora casa Cairoli ad accoglierlo. Ma non bisogna precorrere troppo i tempi. Perché la controrivoluzione è già alle porte.
E gli austriaci puntano tutto sul loro generalissimo: il maresciallo Radetzky.
Dopo la sconfitta di Milano, le truppe asburgiche si ritirano nel famoso Quadrilatero, fra Peschiera, Verona, Legnago e Mantova. Unico cruccio per lo stratega austriaco, pare, sia la rinuncia agli gnocchi, tipico piatto meneghino, di cui è ghiottissimo. Ma c’è ancora tempo prima della controffensiva.
A Pavia,in superficie la città respira la prima libertà dall’oppressore, ma sotto covano rancori e si preparano rese dei conti come sempre solo in apparenza mascherate da motivi politici. Personali rivincite e vendette private si sprecano. Appare, subito dopo la partenza degli austriaci, un elenco, ovviamente anonimo, di spie prezzolate all’ufficio della polizia negli ultimi mesi del 1847 e successivo 1848, come racconta Mino Milani nella sua opera.
Si fanno una cinquantina di nomi annota Giacomo Franchi, nel suo libro “Pavia che fu”. Fra i nomi c’è anche quello di Carlo Morazzoni maestro di scuola, che fra i suoi allievi avrà anche Pasquale Massacra, altro tragico protagonista di questo turbolento periodo, come si vedrà fra poco.
Viene arrestato e rinchiuso in un’improvvisata prigione all’università. Disperato ,l’uomo si tagli le vene con un temperino. Morirà dissanguato.
C’è anche un’altra vittima di questa epurazione. E’ un artista,lui. Si chiama Siro Carati ed è piuttosto noto in città per i suoi versi scritti in dialetto. Viene accusato di essere una spia austriaca ma probabilmente è del tutto in buona fede, come scrive Milani Un filo-austriaco come tanti altri. Del resto la sua colpa è di non averlo mai nascosto. Sconvolto per essere finito sulla lista nera, il 3 aprile raggiunge il baluardo di Porta Nuova, sul Ticino. E da lì si getta nelle acque gelide del fiume.
La guerra, intanto, non procede bene, per le truppe piemontesi. Alle battaglie partecipa anche il III battaglione di Garibaldi, detto dei “bersaglieri pavesi” perché composto da studenti e formato proprio dall’amico Sacchi. Il gruppo ha comunque il suo battesimo di fuoco.
“I pavesi – scriverà Garibaldi nelle sue “Memorie” – caricavano con l’intrepidezza di vecchi soldati. Era il primo combattimento e , ad onta che vari di loro cadessero, giunsero a baionetta gli austriaci che, stupitidal loro valore, colsero alla fuga”.
Giuseppe Garibaldi
A Custoza però Radetzky chiude da par suo la partita.Il 26 luglio il generale Salasco firma l’armistizio. Il 4 agosto del 1848 le truppe austriache si ripresentano, per l’ennesima volta,a Pavia. Più di settemila soldati entrano da Porta Stroppa, dove oggi c’è piazza Emanuele Filiberto. La città è silenziosa.
Molti se ne sono andati, cercando rifugio nelle campagne. Con il ritorno dei soldati asburgici. Pavia ripiomba nel clima di insofferenza e odio contro l’invasore.
Si torna a passeggiare nell’odierno corso Garibaldi. Oggi ci sono tanti locali alla moda, tra ristoranti e bar. Il 15 ottobre del ’48, è la zona delle osterie. Uno dei primi provvedimenti è la chiusura anticipata delle locande. Parte la protesta. Restano sul selciato ,dopo una breve rissa con soldati, due giovani. A metà novembre viene arrestato, fra lo sbigottimento generale, Giovanni Morosi, detto Gingin, conosciuto venditore di formaggi. L’accusa è di attività anti-austriaca.
Viene fucilato qualche giorno dopo. Il regime, ormai, è in odio a ogni classe sociale. E’ ancora il teatro Fraschini il protagonista della protesta più eclatante. Nel Capodanno fra il ’48 e il ’49, va in scena, anziché la rappresentazione prevista, uno sciopero di pubblico e degli artisti.
Il governatore austriaco, allora , impone con la forza tre spettacoli per le settimane successive. Ma di pubblico, nonostante le minacce, neppure l’ombra, a parte i soldati.
La guerra non è ancora finita. Sta andando verso Novara, dove i piemontesi stanno organizzando la riscossa. Il maresciallo Radetzky, si ferma a Parasacco, poco fuori Pavia, per riposarsi,sotto una gigantesca quercia, dove secondo la tradizione si siede: qui viene omaggiato da alcuni contadini, impauriti, o prudentemente fedeli alla tradizione di riverire i potenti.
Bisogna riprendere il cammino per vivere questo ennesimo episodio di sangue, legato alla dominazione asburgica. Ci si ferma all’angolo di quella che oggi è via Foscolo, incrocio con Corso Garibaldi. Il 16 Marzo del 1849 queste strade si chiamavano via Borgo Oleario e Santa Giustina. Qui c’è una delle trattorie più famose di Pavia, L’osteria della Madonnina ( un locale c’è stato fino a qualche anno fa), gestita da Carlo Carcano. All’ interno, c’è il pittore Pasquale Massacra. Oltre che essere un noto artista, è anche un fervente patriota.
Seduto al tavolo c’è anche il soldato Antonio Antoniotti, arruolato con l’esercito austriaco. Massacra gli prospetta la possibilità di disertare e si propone di aiutarlo nella fuga verso il Piemonte. Il militare finge di essere interessato alla proposta e gli dà appuntamento per la sera successiva. Ma insieme a lui si presentano altri due militari. Massacra capisce all’istante. E’una trappola. Non c’è via di fuga, così estrae il coltello e colpisce a morte Antoniotti e uno dei due soldati. L’altro, però, gli affonda la baionetta nel ventre. Massacra ferito, riesce a fuggire. Imbocca Contrada del collegio Borromeo e si rifugia da un amico, al civico numero 6. Qui , abita un notaio, Giuseppe Vittadini. Ma riesce appena a bussare alla porta. Il pittore crolla a terra in un lago di sangue. Intanto giunge una pattuglia che, nonostante sia in fin di vita, vuole trasportarlo in caserma. Ma non ce la faranno. Massacra morirà nell’androne di questa casa.
Le immagini vivide di questo dramma sono state immortalate da Carlo Sara,in un dipinto ancora oggi custodito ai Musei Civici, nella sala del Risorgimento.
Negli anni che seguono, il gioco austriaco si fa via via più pesante. Ma i pavesi non arretrano di un passo. Una nuova protesta va in scena al Fraschini nel 1851, a pochi anni di distanza dalla prima. In questo caso, però è ancora più clamorosa. All’ingresso del generale austriaco Ferencz Gyulai, gli spettatori si alzano e se ne vanno. Poco prima era stato accolto da una salva di fischi in Strada Nuova. La tensione si taglia a fette , l’ostilità fra i cittadini e gli occupanti rimane alta.
Ferencz Gyulai
Oggi si può tranquillamente fare una passeggiata in Borgo Ticino, sedendosi su una panchina a rimirare le acque placide del fiume. Ma, negli anni dell’occupazione, l’Austria vieta severamente anche questo. Poco più in là c’è il confine con il Piemonte.
I Pavesi, per nulla intimiditi dall’ormai perenne stato d’assedio, quando se ne presenta l’occasione ci provano. Un nuovo tentativo di insurrezione scoppiò il 6 febbraio del 1853. Si organizza un assalto al Castello, dove si trova il grosso della guarnigione asburgica. Ma l’organizzazione fallisce miseramente. All’appuntamento non si presenta quasi nessuno. La misera folla è dispersa in poco tempo. Seguono i soliti arresti, processi, condanne. La repressione austriaca è severissima. La città rimane sotto il tallone straniero che continua a optare per le maniere forti.
Ma ancora una volta saranno gli avvenimenti esterni a causare una sterzata decisiva nella vita dei pavesi.