La mano dell’anonima sequestri sulla città
E’ la sera del 24 settembre 1981 quando Giuliano Ravizza saluta i suoi amici in piazza della Vittoria. Come sempre è stato in negozio fino a tardi, che si trova proprio a due passi da Strada Nuova. Chiamarlo negozio è ovviamente riduttivo. Giuliano Ravizza è il fondatore del marchio Annabella, un marchio che ha portato a far conoscere Pavia in tutto il mondo. Ravizza ha rilevato i negozi paterni nel 1965 e nel giro di pochi anni ha trasformato l’azienda di famiglia in un impero. Pavia è in quegli anni la capitale della pelliccia. Annabella diventa il primo caso di pret-a-porter nella moda italiana in questo settore, mentre Ravizza con una strategia allora rivoluzionaria, inizia a pubblicizzare sui giornali dell’epoca non solo i capi della sua azienda, ma anche i prezzi. Capisce per primo l’ importanza del marketing e utilizza gli spot pubblicitari con attori del calibro di Alain Delon e Monica Bellucci con la collaborazione dell’amico Mike Bongiorno, che per anni sarà testimonial del marchio Annabella. Il suo volto, il suo nome, fanno il giro del mondo. Ben presto porta anche ai massimi livelli la squadra di Basket locale. E’ l’uomo di successo e non lo nasconde.
Si torna in piazza della Vittoria, quella sera di settembre.
Ravizza sta per raggiungere la sua auto, ma non riesce ad arrivarci. Ad attenderlo, nell’ombra, c’è una banda dell’Anonima sequestri calabrese. L’imprenditore viene rapito in pieno centro città, senza che nessuno veda nulla. E nel nulla si dissolve.
Pavia, città fino ad allora tranquilla, si risveglia il giorno dopo sotto choc. Per tre lunghissimi mesi rimarrà nelle mani dei rapitori. Verrà rilasciato a Natale di quello stesso anno dopo il pagamento di 4,5 miliardi di lire.
Pavia ripiomba nello stesso incubo sette anni più tardi. La sera del 18 gennaio 1988, un lunedì, la città congela sotto uno di quei nebbioni per cui va famosa. Cesare Casella, 18 anni e mezzo, studente all’ultimo anno del Bordoni, ci sfreccia dentro con la sua Citroen bianca nuova di pacca (il papà Luigi è il titolare della concessionaria di Pavia) mentre dal centro città torna a casa per cena. Una sera come tante, una nebbia come tante. Quello che Cesare non può sapere, mentre percorre via Tasso per poi imboccare la Vigentina, è che un’alfa Romeo era già da qualche minuto parcheggiata davanti a casa sua, la villa di famiglia che si trova dietro i capannoni della zona artigianale.
Cesare imbocca la stradina di casa, si trova l’alfa davanti che gli blocca il passaggio, fa marcia indietro e lo sperona. Dal buio spuntano due figure minacciose. Il ragazzo abbassa il finestrino, uno dei due gli chiede “ Sei Cesare Casella?”, prima di puntargli la pistola in faccia e di tirarlo fuori a forza. A pochi metri, dietro la siepe, c’è il suo piccolo mondo. La sua camera, i suoi vestiti, i suoi dischi. La sua casa.
Dentro i genitori - mamma Angela e papà Luigi – non si sono ancora preoccupati per il suo ritardo. Lo faranno dieci minuti, un quarto d’ora dopo. Non ci sono cellulari: si deve aspettare e stop. Il figlio non è mai stato puntuale. Però quella sera sta esagerando. E’ pure un po' arrabbiato, stavolta, e pensa a un rimprovero. Ma quando apre il cancello vede la macchina di Cesare, vuota, con i fanali ancora accesi, la portiera spalancata.
Sette anni dopo il rapimento di Giuliano Ravizza, Pavia tornava così in pieno incubo sequestri.
Non è una normale vicenda di cronaca nera, quella iniziata il 18 gennaio 1988. E’, di fatto, il rapimento che cambia la storia e chiude quasi del tutto la terribile stagione di sequestri a scopo di estorsione in Italia, un ventennio segnato da episodi agghiaccianti gestiti con cinismo e in totale sicurezza per la gran parte dei banditi sardi e dalla ‘ndrangheta calabrese.
Un copione che tra il 1979 e il 1990 si è ripetuto per quasi 500 volte. Nel 1977, l’anno record, vengono rapite 75 persone, una ogni 5 giorni. Notizie che normalmente si guadagnano pochi secondi al telegiornale, a volte nemmeno quelli. Si è già in piena parabola discendente quando viene rapito Casella: in mano alle bande dei rapitori, in quel gennaio 1988, ci sono meno di dieci persone E quando lo libereranno, i sequestrati sono 4. Quasi 500 rapimenti , di vario genere, con varie dinamiche, ma con una frustrante denominatore comune: uno Stato senza armi, spesso spettatore passivo.A poco è servito raddoppiare le pene per i sequestri a scopo di estorsione. Più efficace, ma non decisiva, è l’arma messa a disposizione dei magistrati che possono bloccare i beni della famiglia del sequestrato. Ma a loro discrezione, non obbligatoriamente.
E’ durante il sequestro Casella che cade un altro velo, quello di un'opinione pubblica spesso indifferente. Il merito è di Angela Casella, mamma di Cesare. E’ il giugno 1989 ( Cesare è in prigionia da 17 mesi , e da 10 la famiglia ha pagato inutilmente il riscatto di un miliardo) quando Angela scende in Calabria e inizia un pellegrinaggio nei luoghi storici dell’Anonima sequestri : San Luca, Platì, Locri, Bovalino, il santuario di Polsi. Un viaggio che nel giro di un paio di giorni esplode come una bomba. Le immagini della mamma Angela incatenata fanno il giro del mondo. Non servirà a riavere subito Cesare, quel viaggio durato una quindicina di giorni, ma a determinare una svolta. Con una legge del 1991 il blocco dei beni “appartenenti alla persona sequestrata, al coniuge, e ai parenti e affini diventerà obbligatorio”. Verrà anche introdotta la possibilità di creare “nuclei interforze” per dare più efficacia alle indagini. I sequestri di persona, per la malavita organizzata, diventano così troppo rischiosi e troppo poco remunerativi. Cesare Casella verrà liberato a Natile di Careri, il 30 gennaio 1990, dopo 734 giorni in mano ai rapitori e il pagamento di un miliardo di lire.