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L’ autunno caldo dei "Sessantottini"

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Pavia inaugura l’autunno caldo della protesta con un anno di anticipo. Gli studenti, fra i primi D’Italia, iniziano a manifestare il loro dissenso e la voglia di ribellione alla fine del 1967.

E’ il 30 novembre quando un gruppo di giovani occupa l’aula di Anatomia, alla facoltà di medicina. Fra lo stupore generale, soprattutto del corpo docente. I ragazzi se ne andranno il 5 dicembre. E’ solo una prova. Intanto però gettano le basi per le proteste, quelle vere, che verranno da lì a poco. Cioè  nel 1968. Il 21 febbraio, infatti, si replica. E’ questione di qualche giorno , poi tocca, il 13 marzo, alla neonata facoltà di Economia e Commercio. E’ un effetto domino,perché  viene anche il turno di scienze politiche. Infine il 23 Marzo , viene nuovamente occupata la facoltà di lettere. Quel giorno comincia ufficialmente il 68 pavese, con un occupazione che durerà 43 giorni, cioè fino all’11 maggio.

Proprio questi ultimi giorni , dall’aprile ai primi giorni del mese seguente, la lotta studentesca, che chiede un’università migliore, più aperta e condivisa,diventa più dura. Il 26 aprile si svolge una manifestazione per le vie della città. Nell’aula 8 si raccolgono le firme per la liberazione di Guido Viale, leader della rivolta studentesca a Torino ( andranno in seicento a portarla al questore) e si leggono a voce alta passi degli “scritti politici” di Rosa Luxemburg nell’edizione curata da Lelio basso e di “Antropologia funzionale “ di Carlo Tullio Altan.

Sul cancello della facoltà un grande striscione dice ;” No alla scuola che prepara i padroni di domani”.

Il rettore Mario Rolla va a parlare ai giovani. Ma viene cacciato. L’8 maggio, dopo che il corpo docente ha respinto le loro richieste , i ragazzi si barricano in ateneo , bloccando l’accesso al professor Rolla. La conseguenza è l’incriminazione contro chi guida la protesta: le denunce arrivano a Lanfranco Bolis, Sergio Saviori, Renato Novelli e Giovanna Bellandi, tutti accusati di oltraggio, resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento.

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Lanfranco Bolis

E’ proprio Lanfranco Bolis , insegnante pavese, il leader della protesta studentesca. Nato nel settembre del 41, iscritto al Pci a 16 anni, è segretario provinciale dei giovani comunisti a 20 e consigliere comunale a 23.

Nel ’68 siede nel consiglio federale del partito, è un fuoricorso all’università , ha una cattedra in una scuola media, una moglie e una figlia di due anni. Nel maggio del ’68 Bolis e i suoi fondano , in una serie di assemblee al collegio ghislieri, un gruppo e un giornale, potere proletario, direttore responsabile Piergiorgio Bellocchio.

Strada nuova si riempie di cartelli. I muri dell’ università si trasformano in bacheche. Gli studenti urlano la loro voglia di cambiamento, sfidano i docenti. Il rettore Rolla decide di usare le maniere morbide. Non chiama mai la polizia, lascia fare, per quello che può. Gli studenti fanno i turni. I pavesi restano anche di notte, bivaccano nelle aule e nei corridoi. Il periodo più duro dell’occupazione è la Pasqua. Molti vanno via, ma un gruppo di irriducibili, circa una ventina di studenti , resta. Si teme, a questo punto, l'uso delle maniere forti. Ma , ancora una volta, il rettore non vuole forzare la mano.

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All’ordine del giorno anche i temi di politica, a cominciare dal Vietnam.

Il raggio d’azione dei ragazzi non è solo strada nuova, corso cavour, via mazzini, piazza della vittoria. Pavia, in quegli anni, pullula ancora di operai in tute blu, grazie alla Necchi, alla Snia e alle altre tante fabbriche storiche. Gli studenti vanno anche davanti ai cancelli a volantinare. In qualche modo il 68 era iniziato in anticipo, nell’autunno dell’anno prima, ma poi entrò in fase calda in ritardo, ai primi del 1969. E’ in questo anno che iniziano i veri scontri con la polizia davanti alla prefettura.

Si torna indietro di 40 anni e andiamo in Piazza Guicciardi, a due passi dall’università. I giovani in corte innalzano cartelli e bandiere, la loro voglia di cambiare si trasforma in un ruggito. La tensione è alle stelle e questa volta gli agenti dispensano manganellate senza risparmiarsi. Ma la fiamma è accesa. Anche gli studenti dei licei scendono in campo. Proprio verso la fine dell’anno, le cose cambiano anche per Bolis e per la politica pavese; i rapporti già tesi con il sindacato per i casi dello sciopero degli spazzini e dell’Omino di Ferro, fabbrica di Casorate nella quale lavorano tantissime donne, arrivano quasi alla rottura. Lo spartiacque è il 2 dicembre, giorno tragico, in cui viene repressa nel sangue la protesta dei braccianti di siracusano (ad Avola) contro le gabbie salariali.

A Pavia il movimento studentesco si trasforma in Potere Proletario.

Esce un volantino in cui si chiede uno sciopero di otto ore. Il sindacato propone mezz’ora. Gli operai della Necchi si fermano invece per tutta la giornata. Più tardi, al secondo turno, il Partito comunista di Pavia si presenta in massa e li convince a rientrare. A quel punto lo scontro con il Pci è durissimo e Bolis, insieme ad altri, viene cacciato. Questo episodio segna per lui e per altri la fine del rapporto con il Partito Comunista.

Il 68 registra anche una novità quasi assoluta per Pavia. La prima protesta in chiave ambientalista. E’ il 7 settembre quando la giunta decide di formare un’isola pedonale nell’area compresa fra corso Cavour , via Frank, via Cardano, via Rezia e piazza Duomo. Immediata , scatta la protesta dei commercianti, che accusano il Comune di compromettere, con questa scelta, la loro attività. A sorpresa si schiera con i negozianti anche Italia Nostra, da poco presente sul territorio. Pur condividendo il fine, gli ambientalisti, a loro volta, contestano la decisione di chiudere parte del centro storico perché la scelta viene fatta senza uno studio funzionale preciso. In altre parole, una scelta casuale che avrebbe portato più costi che benefici. Il sindaco socialista, Giovanni Vaccari, sotto la pressione di Italia Nostra, cede e revoca il provvedimento.

La seconda, grande, battaglia dell’associazione sarà, da lì in avanti, la difesa del Ticino, sempre più inquinato negli anni del boom economico e quasi mai per colpa delle fabbriche pavesi.

C’è una peculiarità del Sessantotto pavese: la protesta non sfocerà mai in episodi di particolare violenza, né di terrorismo. All’Università, epicentro ancora una volta dei venti di rinnovamento, nei licei ma anche nelle fabbriche prevale il dibattito politico. Acceso , spesso, ma senza degenerazioni. Vince insomma  la voglia di confronto. Lo testimonia, quattro anni prima della protesta studentesca, la massiccia partecipazione all’apertura del circolo culturale Labriola di via varese (che chiuderà solo qualche anno dopo) a cui partecipa anche Pier Paolo Pasolini. Pavia non è Milano, dove ben  presto molti giovani prenderanno la strada delle Brigate Rosse , dei Nuclei Armati Proletari o altre formazioni terroristiche. Ma di Pavia partirà la traccia che porterà all’arresto di uno dei capi storici delle Br, Marino Moretti. E questo grazie al fiuto del capo della squadra mobile pavese, Ettore Filippi.