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Il terrorismo antiaustriaco: i delitti insoluti di strada nuova e via Mentana

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Via Mentana è oggi una lunga strada stretta, di passaggio più che altro, che porta verso piazza del municipio se si prosegue verso la parte orientale della città,verso Strada Nuova se la si percorre in senso inverso. Il centro storico oggi pullula di telecamere di sorveglianza, soprattutto per il controllo del traffico. La tecnologia avrebbe senza dubbio aiutato, quella fredda sera del 16 Dicembre del 1858, a risolvere il giallo dell’omicidio di Emilio Briccio.

Briccio, di origine trentina, è un docente di veterinaria all’università. Dopo cena, decide di fare una passeggiata in compagnia di un’amica. Proprio all’angolo fra via Mentana e Strada Nuova, un uomo gli si para davanti. Il professore non fa nemmeno in tempo a rendersi conto di ciò che sta accadendo. All’improvviso sente una fitta allo stomaco. Solo quando abbassa gli occhi in direzione del punto da cui è partito quel dolore che gli toglie il fiato, capisce cosa è successo. Nel ventre ha conficcato un stiletto. Ne spunta solo il manico. Il misterioso aggressore si è già dileguato. Ha preferito girare l’angolo in via Mentana, più buia e soprattutto meno battuta dellla via principale di Pavia.

Briccio morirà quattro ore dopo nella sua casa, a pochi metri dalla sede dell’ateneo. A nulla serve il tentativo di salvarlo di un luminare della medicina, il dottor Luigi Porta, suo amico, giunto al suo capezzale. Si dice, ma le prove non verranno mai raccolte, che Briccio sconti la fedeltà al governo austriaco, che solo qualche giorno prima ha difeso in una discussione. Lo riporta Contrado Montini cronista “da battaglia” dell’epoca, irriducibile giacobino, futuro garibaldino, e giornalista di grido. A scatenare l’omicida, sarebbe stata una battuta irriverente relativa alle manifestazioni di piazza che in quel periodo si susseguivano. La conferma che alla base di piazza che in quel periodo si susseguivano. La conferma che alla base del gesto ci sia un movente politico, arriva qualche giorno dopo con un biglietto anonimo intercettato agli uffici postali dalla polizia austriaca. Le indagini, però non conducono a nulla.

L’ omicidio rimane irrisolto.

L’unica conseguenza, è l’ulteriore stretta delle autorità su una vita cittadina già duramente provata dalla dominazione austriaca.

Ci si sposta ora di qualche centinaio di metri, all’angolo fra via Mascheroni e via XX settembre Siamo, di nuovo, in una strada poco lontana dal cuore della città. Oggi si possono vedere parecchi studi di avvocati, eleganti portinerie di prestigiosi palazzi. Giuseppe Ripamonti Carcano è appena uscito di casa. E’ il direttore della Gazzetta provinciale di Pavia. E come tale non può non essere filo-austriaco. In passato ha già ricevuto minacce ma non ci ha mai fatto caso, fa parte del lavoro. Ha appena girato l’angolo, quando un uomo gli pianta uno stiletto nella pancia.

E’ la sera del 18 marzo 1859. L’arma rimane nella ferita. Ripamonti Carcano, come pure il professor Briccio, crolla a terra in un lago di sangue. L’aggressore si dilegua nell’oscurità della città, deserta anche per il coprifuoco ormai perpetuo. Anche in questo caso, l’omicidio rimane irrisolto. Ma la polizia ha pochi dubbi che il delitto sia legato ala sua attività professionale e soprattutto alla sua posizione politica. La mano,però, secondo gli investigatori non è la stessa del delitto Briccio. Ci sono due sospettati. L’autore del primo omicidio sarebbe Enrico Novaria, definito Montini “cospiratore audace”. Nel secondo caso, invece, i sospetti cadono su Giuseppe Pedotti,altro not patriota ribelle.

L’ambiente in cui maturano i delitti, è sicuramente quello dei movimenti anti austriaci pavesi. Ma quando i gendarmi bussano alla porta delle loro abitazioni, si sono già dati alla macchia. Cadranno più tardi sui campi di battaglia di San Fermo e Monte Suello, portandosi nella tomba il segreto dei due efferati omicidi. Che restano comunque, episodi isolati.

Qualcosa però sta per accadere.

Che l’Austria abbia i giorni contati a Pavia e in Lombardia, lo  percepiscono in tanti. E in tanti si preparano a ingrossare le file dei patrioti pronti a combattere, alla luce del sole, contro l’odiato oppressore. Il punto di espatrio dei giovani che vogliono andare in Piemonte per arruolarsi passa dalla zona Est della città. Ci si dirige lì allora. E si giunge nella zona rivierasca nei pressi della Chiesa di San Lazzaro. Si è vicini alla strada provinciale per Cremona. Qui si trova Cascina Francana. Il proprietario di allora si chiama Luigi Germani. E’ un fervente patriota. Chi vuole fuggire, lo fa con il suo aiuto. Da qui , in poco più di dieci minuti si può raggiungere la riva del fiume. Dove, nascoste dalla folta vegetazione, ci sono delle barche. A guidarle, con fare sicuro, anche nell’oscurità, è un umile popolano, profondo conoscitore delle acque. All’anagrafe è Luigi Razzini, ma tutti lo conoscono come Battifiacca. Fra Ticino e Po trasborda decine di cospiratori, sfuggendo spesso ai gendarmi austriaci. Non verrà mai colto con le mani nel sacco. Morirà nel 1884, dimenticato da tutti. Milani racconta che al cimitero viene accompagnato solo dal becchino, e, tristemente, la sua tomba non ha alcun epitaffio.

A proposito di fiume. Se si fa una passeggiata sulla riva del Naviglio e si arriva alla confluenza con il Ticino, una lapide ricorda le piene maggiori della storia. La più terribile si verifica proprio in quel periodo. E’ il 1857, quando il fiume straripa e invade la città. E’ la maggior piena di rigurgito del Po mai osservata a Pavia. Si è formata per una piena che alla Becca raggiunge la portata valutata in circa diecimila metri cubi al secondo. La seconda inondazione più devastante della storia è di qualche anno dopo, solo del Ticino: è il 1868.

Ma oltre alla lotta con l’ acqua, qui continuano ad essere combattute senza soste le battaglie tra eserciti A ingrossare le fila dell’esercito sabaudo occorrono circa 1500 giovani pavesi. Intanto gli austriaci si preparano all’ennesima guerra. In prossimità del ponte Coperto, allestiscono un ponte di barche per accelerare il passaggio delle truppe. L’idea è quella di portare la guerra in Piemonte. Un primo scontro fra i due eserciti si verifica il 23 aprile a Zinasco, oggi un piccolo comune di qualche migliaio di anime appena fuori Pavia. Ma gli scontri che passano alla storia sono quelli di Montebello (in Oltrepò) e di Palestro (in Lomellina) nel 1859.

Le alleanze, nel frattempo, vedono i francesi (al comando c’è Napoleone III) a fianco dei piemontesi (guidati da Vittorio Emanuele II). L’ultimo caposaldo della resistenza austriaca resta Pavia. Qui i feriti di due battaglie vengono trasportati e curati. Si ergono fortificazioni a Porta Milano. I portici di Borgo Calvenzano, dove oggi ci sono pub e pizzerie, vengono chiusi con tavole di legno. In quella che oggi è ribattezzata via Palestro, si allestisce un ospedale militare.

Ma ormai, per gli austriaci, la guerra è persa. La sera del 12 Giugno, le prime avanguardie francesi rientrano a Pavia. Qualche giorno prima, il 26 e 27 maggio, si erano combattute due furiose battaglie a Varese e San Fermo. Nella prima cade Ernesto Cairoli. I fratelli Luigi, Enrico e Giovanni moriranno poco dopo, intrepidi eroi dei Cacciatori delle Alpi. La famiglia pavese che aveva ospitato Garibaldi dà il contributo di sangue più alto alla causa italiana.

Oltre alla storia, anche l’arte immortala le gesta di questi eroi.

C’è un episodio toccante, in questa vicenda di sangue e sacrificio. Si può ricordarlo, visitando il museo del Risorgimento al Castello. Lì è conservato un quadro, dipinto da Federico Faruffini. A commissionarlo, poco prima della sua morte, è Ernesto Cairoli. Faruffini ha un presentimento e proprio mentre lo dipinge, l’ amico è colpito a morte sul campo di battaglia. I caduti pavesi saranno complessivamente nove: cinque nell’esercito sardo, quattro nei Cacciatori delle Alpi.

C’ è un altro quadro, questa volta a firma di Paolo Barbotti che raffigura la morte di Giuseppe Pedotti, il presunto assassino del professor Briccio. Muore eroicamente a San Fermo. Lo stesso Garibaldi ne racconterà le gesta : “ Aveva pur pagato il suo tributo alla patria, giacendo cadavere fra i valorosi che avevano assalito il fronte. Egli apparteneva alla eletta schiera dei giovani lombardi delle prime famiglie”.

C’è una lapide all’ interno dell’ università, che ricorda le gesta dei giovani garibaldini pavesi presenti, qualche anno più tardi, con i Mille: “ il 15 maggio 1860 vidi allora la  nostra bandiera portata al centro della settima, quel centinaio e mezzo di giovani quasi tutti dell’università di Pavia fior dei lombardi e di veneti la compagnia più numerosa e più bella”.

Ma si torni a quei giorni. Il 18 settembre Vittorio Emanuele II entra fra due ali di folla festante, questa volta sinceramente felice, a Pavia. Gli Austriaci sono stati finalmente cacciati per sempre