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I LIBRI ERETICI DI STRADA NUOVA: L’ONDATA PROTESTANTE GIUNGE A PAVIA

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Strada Nuova è il cuore commerciale dell’attuale Pavia. La lunga via che parte da piazza Italia e arriva giù, fino a Ticino, è da sempre il luogo delle vetrine più prestigiose, dei negozi più appariscenti, dei bar più chic della città. Da qui parte l’epicentro di un terremoto religioso che nel primo decennio del Cinquecento, nella cattolicissima e ortodossa Pavia, lascia il segno.

Probabilmente Francesco Calvi, tipografo milanese e proprietario di una libreria proprio in Strada Nuova , quando mette in vendita un libretto scritto solo due anni prima da un sacerdote tedesco, Martin Lutero, non può immaginare quali saranno le conseguenze. Ci si sposta in Germania per seguire l’inizio di questa vicenda. Il teologo Martin Lutero nel 1517, affligge sulla porta della Chiesa di Wittenberg, com’è l’uso del tempo, 95 tesi in latino riguardanti il valore e l’efficacia delle indulgenze e soprattutto il loro “mercato”. Nel 1517 papa Leone X, volendo ricostruire la Basilica di S. Pietro a Roma,e non disponendo di denaro sufficiente per farlo, aveva di fatto avviato un vero e proprio commercio di perdoni e pentimenti per finanziare l’opera. Un approccio contestato fortemente dal religioso tedesco, che aveva iniziato un braccio di ferro contro le gerarchie ecclesiastiche, dando avvio a quello che passerà alla storia come riforma protestante.

Ora si torna a Pavia e al nostro libraio Calvi, Forse è ignaro, o forse no, delle conseguenze che ci saranno quando porrà sugli scaffali l’opera di Lutero. Ma quando la voce si diffonde, una vera e propria tempesta si abbatte sulla bottega di Strada Nuova. Per inciso , lo stesso Calvi abbraccia quella che passerà alla storia come protestantesimo, tanto da essere citato più avanti dallo stesso Lutero come vir eruditissum.

La diffusione della parola del prete ribelle, grazie anche a un’invenzione che una settantina di anni prima aveva rivoluzionato l’editoria, con la stampa a caratteri mobili ideata da Johannes Gutenberg, è come si direbbe oggi “virale”.

Il libro di Lutero ha notevole diffusione all’università, dove giungono studenti anche da fuori città per discutere le nuove tesi del teologo tedesco. Ma Francesco Sforza II, allora signore della città, mette le mani avanti. E firma un bando, nel 1523, per scoraggiare l’acquisto del libro eretico. Naturalmente la vigilanza, e l’allarme, da parte dell’autorità religiosa aumentano a mano a mano che la libreria di Strada Nuova si trasforma in una sorta di ritrovo.

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Francesco Sforza II

Ma l’ondata di Lutero di interesse non si placa. Nel 1538, quando ormai la bomba protestante è esplosa in tutta Europa, la repressione si fa più dura. Ne fa le spese Clelio Curone, umanista piemontese e maestro di oratoria presso l’università di Pavia, sospeso e allontanato dall’insegnamento con l’accusa di aver costituito una setta protestante. Ma in realtà, come racconta Mino Milani, il sospetto è fondato perché l’insegnamento di Curone sparge realmente il seme della protesta in città.

Che sia il seme gettato da Calvi prima e coltivato da Curone poi, o l’effettivo vento di novità che tira contro la Chiesa, a Pavia sorge una scuola che coltiva il nuovo verbo luterano. Tanto che il governatore dell’epoca interviene energicamente nel 1541 facendo arrestare alcuni studenti riconosciuti come seguaci di Lutero e del riformatore svizzero Huldrych Zwingli. Insieme a essi, vengono incriminati anche Andrea Calvi, fratello di Francesco, il proprietario della libreria.

Gli studenti in carcere ritrattano e vengono rilasciati, ma sono banditi dal Ducato per cinque anni. Gli episodi, nonostante la repressione, si moltiplicano.

Dalle tesi di Wittenberg si discute anche nelle strade, non più solo nella libreria o università. Ma avviene un fatto sconcertante, che a quel punto fa decidere le autorità, ecclesiastiche e civili, di intervenire con le maniere forti. Sempre nel medesimo anno, è il 1541, un padre minore conventuale, Francesco Cocconato tiene prediche critiche contro la fede cattolica nientemeno che dal pulpito di San Michele. Lo stesso fa , non si sa però in quale chiesa, il frate Agostino Mainardi.

Vengono avviate indagini nei conventi lombardi dell’ordine agostiniano, a cui Lutero era appartenuto. Scattano arresti ed epurazioni di molti frati accusati di essere “discoli e mal disciplinati nelle cose pertinenti alla fede catholica”.

Anche a Pavia irrompe, con la terribile severità che lo contraddistingue, il tribunale dell’inquisizione. La lotta all’eresia viene condotta con spietata energia dalla Santa congregazione dell’inquisizione romana e universale, creata nel luglio del 1542 da papa Paolo III.

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Papa Paolo III

A Pavia , nel 1567, giunge a presiedere il frate Pietro da Quinzano. Quest’uomo scriverà una delle pagine più buie della storia cittadina. La sede del tribunale è la chiesa di San Tommaso, ancora oggi visitabile andando in via Rusconi, con annesso monastero, che avrà funzione di carcere. Non appena giunto in città, Pietro da Quinzano dà l’ ordine di promulgare una grida in cui definisce, non senza punta di esagerazione, Pavia come “città lontanissima era la più infestata ch’oggi vi sia in Italia, è peggio non ce n’è”.

E’ uno stratagemma per far apparire il suo compito alle autorità ecclesiastiche, in particolare romane, come improbo. Soprattutto un pretesto per utilizzare ogni arma a disposizione e giustificare qualunque comportamento come lecito al fine di estirpare l’eresia.

Che le affermazioni del frate a capo dell’Inquisizione pavese siano esagerate, non c’è dubbio. A Pavia come abbiamo visto, il luteranesimo aveva avuto un certo seguito., ma non più che in altre città.Due esponenti della nobiltà, Orazio Salerno e Gerolamo Beccaria, prenderanno infatti le difese della comunità rivendicando presso le autorità ecclesiastiche l’assoluta ortodossia pavese. Il terribile frate,però, non si lascia influenzare. Vede a Pavia la sua occasione per farsi strada e non intendere lasciarsela scappare.

Il religioso si lascia prendere la mano. Gira per le strade scortato da bande di bravacci , assoldati per difendere la sua incolumità. E ne ha ben donde, visto che gli arresti sommari e le condanne ingiuste ben presto si moltiplicano. Ma non si limita a questo, Pietro di Quinzano. La sua attività sfocia addirittura in sequestri di persona a scopo di estorsione, ricatti, e raccontano le cronache, anche tentativi di  stupro. Tutto , naturalmente, in nome di Dio.

Non mancano episodi e tentativi di eliminarlo, anche fisicamente.

La sua fine è inevitabile. La goccia che fa traboccare il caso ha un nome e un cognome: Angelo Migliavacca. Questo ricco mercante sessantenne, benvoluto da tutti e dalla condotta pare assolutamente irreprensibile anche dal punto di vista religioso, viene arrestato nel giugno del 1568 per motivi che, poi, risulteranno totalmente estranei all’eresia. Aveva semplicemente chiesto al frate-bandito di restituirgli dei soldi prestati. Poco dopo viene messo in cella anche il figlio Antonio che, percosso brutalmente dopo l’interrogatorio, morirà da lì a qualche giorno.

La città a questo punto si ribella.

Due professori universitari, Francesco Bozzolo e Jacopo Beccaria, raccolgono le prove delle malefatte del capo dell’inquisizione pavese e le inviano alla congregazione centrale del Sant’Uffizio di Roma. Nel settembre dello stesso anno, MIgliavacca viene rilasciato.

Il frate-inquisitore , invece, se la cava con un semplice rimprovero. Ma il riconoscimento dell’errore gli vale l’allontanamento dalla città. Per Pavia finisce un incubo lungo un anno.