Fra grandi opere pubbliche e case di tolleranza
Fra grandi opere pubbliche e case di tolleranza
Pavia tra le due Guerre
Pavia tra le due Guerre
“Alla ricerca delle vie perse , in altra parte della città, verso la periferia. Sono la mia passione. Sono le più selvatiche dove non passano le automobili perché le pietre sono troppo aguzze; e la città è più campagna. Infilo il vicolo San Carlo.Poi alla ventura , via Lotario, via della Darsena. Sassaia. Sterrato.Gramigne. Case di povera gente, ma nei muri sono visibili i segni di massicce arcate lombarde….”
Per le strade del centro storico , all’inizio degli anni Trenta si aggira sognante e persa una giovane signora che raccoglie in versi struggenti le sue impressioni sulle strette vie che portano verso l’attuale Lungo Ticino Sforza, o davanti al Collegio Borromeo. Si chiama Ada Negri e già sul finire degli anni Venti si è fermata numerose volte in città ospite della famiglia Boerchio. E’ , in quest’epoca , la scrittrice più nota d’Italia. Il suo sguardo si sofferma sulle operaie , sulle zingare, sulle donne che incontra per strada o nei cortili.
Ada Negri
Ada Negri diversi mesi dell’anno a Pavia, dove dice di sentirsi più a casa che nella sua dimora milanese. Qui, con la solita inquietudine, è sempre in movimento. Cammina instancabile per strade, piazze e argini, descrivendo muri e alberi della città con i colori di confidenza e di passione, con la finezza e gli eccessi che sono caratteristici di tutta la sua opera. Pavia vermiglia, la definisce la poetessa.
Regala, nei suoi scritti, alcuni scorci sulle chiese, i palazzi e le torri.
Ama molto passeggiare nei dintorni di via Darsena, intorno agli Orti Borromaici e Porta Palacense. Si spinge soprattutto lungo il fiume , sugli argini. E’ la parte della città che digrada verso il Ticino, infatti, quella che preferisce.
Conosce bene ogni angolo di Pavia. Anche perché a partire dal 1888, insegna nella scuola elementare della vicina Motta Visconti, paese al confine fra la provincia di Milano e Pavia, alternando all’insegnamento l’attività di giornalista e quella di poetessa.
La Pavia di Ada Negri è quella che sta conoscendo anche il massimo sviluppo legato al regime fascista.
Lo stesso Mussolini, fra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta, è in città più volte per l’inaugurazione delle tante opere pubbliche varate dal ventennio.
Si fa un giro proprio nei luoghi del fiume che tanto amava la poetessa lodigiana.
Oggi è un eco-mostro , abbandonato e diroccato. Ma quando viene posta la prima pietra, nel 1925, l’idroscalo ha ben altre ambizioni. E’ di fatto la tappa intermedia per gli idrovolanti sulla tratta Torino-Trieste. I lavori per la costruzione dell’idroscalo pavese iniziano nell’aprile 1925. Solo un anno dopo, viene inaugurato, dallo stesso Mussolini. E’ il primo Aprile.
L’imponente costruzione , appoggiata su pilastri alti sette metri, rappresenta uno dei primi esempi di architettura razionalista a Pavia.
Siamo davanti al numero 51 del Lungo Ticino Sforza (la targhetta la si può vedere sul muro esterno dal lato della strada). L’itinerario prevede la partenza da Torino ,tappa a Pavia, partenza da Venezia, breve tappa nella città lagunare e quindi arrivo a Trieste. Il giorno successivo il viaggio inverso. Il percorso completo è di quasi 600 chilometri e il costo per passeggero di poco superiore alle 350 lire. La carlinga dei velivoli non è ancora pressurizzata e ai viaggiatori, inclusa nel biglietto, viene offerta una coperta e una borsa dell’acqua calda per difendersi dal freddo e dei batuffoli di ovatta per attutire il rumore del motore posizionato sulle loro teste. La struttura perde la sua importanza negli anni Cinquanta. Oggi versa in condizioni di completo abbandono e in volo non si alzano più gli idrovolanti , ma solo i piccioni che ormai dimorano a centinaia nell’edificio, nonostante le cicliche proposte di recupero ai fini turistici.
Lungo il fiume si risale per il centro storico, fino ad arrivare in piazza della Minerva , che prende il nome della statua che svetta sulla città.
L’opera, realizzata dallo scultore Francesco Messina nel 1938, rappresenta nella mitologia greca la dea della sapienza, della saggezza e della guerra. Ancora oggi è uno dei simboli di Pavia. La statua ha una sua particolarità: la punta della lancia è rivolta verso terra. Non esiste una spiegazione ufficiale del perché. Se i più malevoli lo attribuiscono a un banale errore nella fase di montaggio, in realtà pare che il significato voglia indicare l’eccellenza della cultura a discapito delle armi. Anche se, nel pieno del periodo fascista in cui viene eretta, sembra improbabile anche questa seconda tesi.
Qualche anno prima invece viene inaugurata la nuova sede dell’ospedale San Matteo. E’ il 1937, per la ricorrenza bimillenaria della fondazione dell’Impero di Augusto, viene inaugurato il nuovo Regisole, scultura bronzea alta circa sei metri e sostenuta da un piedistallo di travertino, al cospetto del ministro Bottai e delle alte gerarchie pavesi, sempre a firma di Messina. E’ quella che ancora è visibile sul sagrato.
Ma la città non ha solo il volto ufficiale di inaugurazioni e celebrazioni . Bisogna addentrarsi in una Pavia più discreta e proibita.
Fra gli anni Venti e Trenta, c’è il Boom delle case di tolleranza. Una delle più frequentate è in Piazza San Teodoro, con il portone di accesso proprio all’ingresso della chiesa.
A proposito viene raccontata una storia su questo vecchio “bordello”.
Il parroco, infastidito dal viavai dei clienti, si rivolge all’autorità perché il proprietario della casa di tolleranza (attività, va ricordato, allora lecita) apra un altro accesso che non sia davanti alla chiesa. Il gestore si oppone. Ne scaturisce un acceso confronto che porta a uno scontro verbale e alla pubblica, e simbolica, scomunica inflitta al tenutario del luogo incriminato. Questi, per ripicca, fa applicare ai lati del portone di ingresso alla sua proprietà due statue in cotto rappresentati rispettivamente un uomo e una donna in posizioni inequivocabili.
Ma questo non è l’unico luogo di piacere della città.
Una terza “casa del piacere” è in piazza Berengario, angolo con via Giovanni di Ferrera. Davanti all’uscio di questo edificio , in quegli anni , giovani e meno giovani fanno la fila per appartarsi con le ragazze.
L’ultima casa di cui si ha notizia si trovava invece nei pressi di Porta Nuova.
Ma chi sono i tenutari di questi luoghi d’incontro?
Sono semplicemente dei commercianti che hanno di questa pensioni dove il sesso è a pagamento. Si tratta , come detto, di un’attività lecita a quei tempi. E sono muniti di una regolare licenza statale , conseguita come per una qualsiasi rivendita di sali e tabacchi, e in pratica esercitano per conto dello stato che ne detiene il monopolio, percependo fra l’altro un vantaggio fiscale.
Il pagamento della prestazione è anticipato ed effettuato presso la direttrice della casa e non è assolutamente permesso alcun compenso diretto alle ragazze.
Ci sono regole molto rigide in materia. Le “case chiuse” devono essere distanziate da asili , scuole e chiese (si è visto altrimenti cosa succede), le persiane tenute chiuse e lucchettate ed è severamente proibito fotografare.
Anche le “case” pavesi chiuderanno, come in tutta Italia, con l’introduzione della legge Merlin del 1958.