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Eroe per una notte, il tenore Fraschini contro gli austriaci

E i primi vagiti del Risorgimento.

Se si esce dal centro storico e ci si procede verso la parte occidentale della città, proprio nei pressi dell’attuale Borgo Calvenzano, incrociamo il Naviglio.

L’ultima parte di questo canale, ancora oggi indispensabile soprattutto per l’agricoltura, iniziato da Galeazzo II Visconti, viene proprio in questi anni portato a compimento dagli austriaci, nonostante l’ormai aperta ostilità di Pavia. Che l’aria sia irrespirabile per loro, lo hanno già capito da un pezzo.

La Restaurazione , dopo la bufera giacobina, lascia la città ancora più frustrata e arrabbiata. Lo dimostra la visita del nuovo imperatore Francesco I. Arriva a Pavia nel febbraio del 1816 e viene accolto con la massima freddezza non solo dei cittadini ma anche dell’autorità. Tra loro c’è Camillo Campari, ancora protagonista sulla scena politica della città. Ma sarà una delle ultime volte, perché Campari morirà di lì a poco.

L’imperatore, come ormai è consuetudine durante le visite illustri, prende dimora a Palazzo Botta. La sua presenza dura nemmeno mezza giornata, segno della reciproca diffidenza.

Ma la nuova dominazione asburgica lascia il segno, almeno sotto il profilo delle opere pubbliche. Una splendida stampa, conservata ai Musei Civici, in un’incisione di San Quirico – Lose, rappresenta perfettamente il giorno dell’inaugurazione dell’ultimo tratto del Naviglio.

Dall’attuale zona dello stadio c’è una lunga passeggiata che costeggia il corso d’acqua e arriva fino alla confluenza con il Ticino. Qui, il 16 agosto 1819, alla presenza dell’arciduca Ranieri, viceré del Lombardo – Veneto, si celebra l’apertura ufficiale. L’avvenimento suscita anche clamore e speranze, soprattutto nei commercianti, che dalla Via dell’Acqua si aspettano grandi cose. L’evento richiama una enorme folla , riscuotendo un po' i pavesi dal torpore in cui erano caduti a seguito del nuovo corso della storia.

Nell’incisione ai Musei Civici si vedono perfettamente  le carrozze sulle sponde, le imbarcazioni addobbate, le scalinate, che oggi non ci sono più, a fianco del Naviglio che si getta dal Ticino.

Attorno, una folla festosa : dame con cappelli e ombrelli da sole , nobiluomini con bombetta e bastone, soldati a cavallo. Un’imbarcazione con la bandiera giallo-nera attende alla conca di Porta Stroppa, un’altra è alla conca dell’attuale Porta Garibaldi. Tuona il cannone. E stavolta , per fortuna, è caricato a salve.

Gli austriaci investono parecchio nei progetti fluviali. E’ sempre di questo periodo il tentativo di avviare , anche se con scarso successo, un servizio di vaporetto fra Pavia e Venezia. Ma lo sbocco del Naviglio in Ticino è anche teatro di un fatto di cronaca nera, che avrà risvolti politici.

Si resta ancora qui, in fondo alla confluenza, dove la vegetazione è folta e in alcuni punti impenetrabile, oggi come a quei tempi.

Nei mesi estivi fare un tuffo nelle verdi acque del Ticino è una tentazione. Oggi è vietato, ma nel 1825 è normale che i ragazzi si divertano a fare il bagno in questa zona.

E’ il 23 giugno del 1825, la temperatura estiva invoglia a bagnarsi. Carlo Capsoni è il fittavolo della Cascina del Sale che sorge proprio nell’attuale zona della darsena e che oggi non esiste più. Si reca indispettito dalla polizia asburgica e segnala il fatto che alcuni studenti stanno nuotando nel fiume, correndo poi nudi sui prati di sua proprietà. I gendarmi si recano sul posto e fermano nove giovani, condotti in caserma così come madre natura li ha fatti. La gendarmeria si trova in piazza della Legna, oggi Piazza Italia. La sede della questura è rimasta lì fino a pochi anni fa. Ci si trova, quindi, in pieno centro. Il gruppo passa per Strada Nuova, proprio davanti all’università. E’ un’umiliazione. Interviene anche il rettore, chiedendo la loro immediata liberazione.

Intanto si forma un capannello davanti alla caserma dei gendarmi. A gran voce la gente , soprattutto gli studenti, pretende il rilascio di nove ragazzi. La cosa avviene, in effetti, ma i giovani vengono fatti uscire da una porta di servizio. Prendono un vicolo, oggi cieco, detto Malora, una stradina fra piazza Italia all’attuale piazzetta Ferreri, che si affaccia in Viale Matteotti e si congiunge a Piazza Petrarca mediante un breve tratto. Proprio per questo, però. Nessuno se ne accorge, e la rabbia della folla aumenta. Vola qualche sasso ed è allora che i gendarmi aprono il fuoco per disperdere i manifestanti . Tre giovani vengono uccisi.

Il fatto passa alla storia come la strage degli innocenti. Non scoppierà alcuna rivolta vera e propria, ma l’insofferenza, se non l’odio, nei confronti del regime austriaco non si placherà mai.

Il terreno è ormai fertile perché anche Pavia conosca , seppure non in modo organizzato e tale da lasciare il segno, i primi vagiti della Carboneria. Nel 1832 l’ufficio postale del Gravellone viene setacciato alla ricerca di opuscoli della “Giovane Italia”, creata l’anno prima da Giuseppe Mazzini. La polizia austriaca, probabilmente informata da qualche delatore, fa irruzione. Di più. Il vice rettore del collegio Ghislieri, Tommaso Bianchi, viene denunciato e arrestato come sospetto simpatizzante del movimento. La sua morte , in carcere, desta profonda commozione.

“Davvero esiste una legge così immorale e barbara che impone di tradire il segreto confidato in conversazione da un mio giovane discepolo e amico?”, chiede il docente alla polizia che lo sta portando via.

“Ebbene, anche se l’avessi saputo, non l’avrei mai osservata”, è la temeraria replica di Ressi.

Solo per questo viene condannato al carcere duro, dove morirà di tisi nel 1822.

Dal 1831, anno della sua creazione, l’associazione guidata da Mazzini fa proseliti anche a Pavia- come sempre, è in ambito universitario che la fiamma del patriottismo si accende. Ma non solo. Vengono ricordati fra i ferventi mazziniani anche i fratelli Emilio e Paolo Marozzi, proprietari terrieri, Antonio Picchioni, ragioniere, Giovanni Danisi, biologo. Sono loro, quasi sicuramente, i primi mazziniani pavesi.

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Opuscoli e fascicoli mazziniani circolano in diversi ambienti. Ma questo può costare  molto, molto caro. Il rischio minimo che si può correre è l’arresto. E, in caso di condanna, la pena di morte. O lo Spielberg, celeberrimo carcere austriaco, oggi Repubblica Ceca, in cui verranno imprigionati decine di patrioti italiani.

Il più noto è Silvio Pellico, autore delle “Mie Prigioni”. Il quale , fra l’altro, è a Pavia qualche anno prima ma per tutt’altro motivo. Insieme a un altro illustre letterato, Vincenzo Monti, si era imbarcato sell’Eridano, un battello a vapore inglese che ha fatto scalo al porto di Pavia diretto a Venezia.

In questi anni il solco tra pavesi e austriaci è sempre più profondo. 

Diventa simbolo , suo malgrado, della resistenza anti asburgica anche il grande tenore Gaetano Fraschini. E’ la notte del 23 aprile del 1839,quando il cantante esce dal Teatro dei Quattro Cavalieri di Strada Nuova, che poi verrà chiamato proprio con il suo nome. Fraschini è già noto in città per la sua carriera. E’ il tenore prediletto da Giuseppe Verdi. Dopo la rappresentazione è in compagnia di un paio di amici. I tre vedono ardere un grosso falò in piazza Loreto, oggi Piazza Petrarca. C’è un gruppo di ragazzi che sta bruciando il palco dove, nel pomeriggio, è stato esposto alla gogna un debitore. L’episodio che coinvolge Fraschini pare sia del tutto casuale, perché proprio mentre passa di lì giunge anche una pattuglia di gendarmi che, senza tanti complimenti, lo conduce in caserma insieme ai facinorosi. La notizia fa subito il giro della città, e il giorno dopo scoppia una piccola rivolta.

Fraschini viene rilasciato qualche ora dopo. La sera successiva è di nuovo  sul palcoscenico dove, sotto gli occhi delle autorità, viene acclamato come simbolo della lotta anti-austriaca.

Gli Insubri e i loro alleati sono cancellati I legionari conquistano il primo castrum romano in terra pavese.