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DAL CONCERTO DI PAGANINI AL TEATRO FRASCHINI

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Prima di ammirare la piccola Scala di Pavia , ovvero il Teatro dei “Quattro cavalieri “, da tutti conosciuto come il Fraschini, dal nome del famoso tenore pavese, Gaetano Fraschini, serve dare un veloce sguardo all’Europa , come sempre , per seguire e capire quello che succederà a Pavia da qui in avanti.

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Trattato di Aquisgrana

Il trattato di Aquisgrana, firmato il 18 ottobre del 1748, mette fine alla guerra di successione austriaca e soprattutto implica il riconoscimento della prammatica sanzione, cioè dell’editto del 1713 che l’imperatore germanico Carlo VI d’asburgo, essendo privo di figli maschi, aveva voluto per garantire la successione a vantaggio  della figlia Maria Teresa. Una decisione che era stata alla base dell’ennesimo conflitto nel Vecchio Continente.

La firma della pace sancisce il nuovo equilibrio europeo e sanziona la fine del principato di Pavia, che entra nell’orbita degli Asburgo.

In Strada nuova , nel Settecento, il rumore degli zoccoli rimbomba fra le due ali di edifici che si affacciano sulla via più grande della città. I circa 30 mila abitanti (censimento del 1753), compresa la popolazione dei “Corpi Santi”, vale a dire la periferia fuori mura , non se la passano bene. Val la pena di aprire una piccola parentesi a proposito dei sobborghi, come verrebbero definiti oggi.

Per secoli la zona periferica vive una condizione amministrativa anomala, essendo soggetta alla città ma rappresentata separatamente da una congregazione con un proprio commissario e un cancelliere per il riparto dei carichi fiscali. La riforma amministrativa di stampo illuministico dell’imperatrice Maria Teresa, finalizzata alla standardizzazione del governo locale, risolve l’antica anomalia costituendo i “Corpi Santi” in comune a pieno titolo, includendo con il capoluogo nella prima delegazione della provincia.

L’invasione francese comporterà invece l’unione del Comune con la città nel 1805, provvedimento revocato di nuovo dagli austriaci al loro ritorno nel 1816.

Per farla breve , il colpo d’occhio di campi e cascine che ancora attualmente si vedono fuori città cambia poco rispetto ad allora. Se oggi un antico cittadino ritornasse in vita, riconoscerebbe la propria campagna,salvo sgranare gli occhi davanti a qualche inevitabile ammodernamento dei terreni segnati da tangenziali, strade asfaltate e radi distributori di benzina disseminati qua e là.

Nel 1883, un decreto regio accorpa tutto alla città e da allora è così.

Ne fa le spese Fossarmato, prima comune autonomo, oggi frazione di Pavia.

Per le strade settecentesche di Pavia decine di uomini chiedono l’elemosina, bambini macilenti giocano nelle piazze, donne malvestite si aggirano fra i banchetti del mercato per acquistare quel poco che possono. Nonostante la povertà della maggior parte dei suoi abitanti, la nobiltà, al contrario davvero molto facoltosa, regala in questo periodo delle perle alla città.

Nel 1773 una società di quattro gentiluomini, Francesco Barbarana Beccaria, Luigi Bellingera Provera, Pio Bellisomi e Giuseppe Giorgi di Vistarino decide che è tempo, per Pavia, di avere un teatro. Lo fanno costruire all’inizio di Strada Nuova, laddove ancora oggi lo possiamo ammirare.

A dire la verità, Pavia ne aveva uno, più piccolo. Lo aveva fatto edificare il patrizio Giacomo Omodei ai primi del Settecento nell’attuale via Paolo Diacono. Ma è modesto e poco funzionale. Soprattutto, narra la leggenda, Omodei è signore e padrone del luogo e come tale si comporta : impone al pubblico i propri gusti e orari, e fa aspettare anche ore per la sua presenza, senza la quale lo spettacolo non può iniziare.

I quattro nobili intendono invece realizzare qualcosa che resti nella memoria. Così affidano il progetto a un archistar dell’epoca : Antonio Bibbiena.

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Ferdinando D’Austria

Alla presenza dell’arciduca Ferdinando D’Austria , il teatro viene inaugurato il 24 maggio del 1773 con l’opera Demetrio dell’allora celeberrimo compositore boemo Josef Myslivecek.

Da quel giorno, salvo una chiusura di una decina di anni , dal 1985 al 1994, il Fraschini, come verrà ribattezzato successivamente, sarà uno dei tanti vanti di Pavia, insieme al Castello, all'Università, al San Matteo.

Il 7 maggio 1805 ospita Napoleone e Giuseppina de Beauharnais, poco prima dell’incoronazione. Ospiti d’onore saranno anche l’imperatore austriaco Francesco I e la moglie, l’imperatrice Maria Luisa. Nel 1814, per l’astronomica cifra di 600 lire, si esibisce davanti a un pubblico estasiato Niccolò Paganini Passano dal Fraschini , in virtù della sua acustica pressoché perfetta, compositori come Pietro Mascagni e Arturo Toscanini. Dal dopoguerra in poi sul palco anche i grandi divi del teatro classico, come Vittorio Gassman, o della rivista come Carlo Dapporto, Macario, il giovane Dario Fo, Giustino Durano. Il teatro viene chiuso nel 1985. La riapertura , venerdì 9 Dicembre 1994 vede sul palco Cecilia Gasdia e Katia Ricciarelli.

Si procede la passeggiata , percorrendo solo qualche centinaio di metri. Tanto dista, infatti, il teatro dell’università. I lavori fervono anche qui. In questo caso, è l’imperatrice Maria Teresa in persona a voler mettere mano. E l’austera eleganza che l’ateneo pavese conserva ancora oggi la si deve a lei.

I lavori edilizi, cominciano nel 1771 sotto la supervisione di altri due architetti di grido come Giuseppe Piermarini e Leopoldo Pollack. Viene costruito il grande teatro anatomico, inaugurato nel 1785, oggi dedicato al medico Antonio Scarpa. Si realizza lo stesso anno la grande biblioteca.

La mano di Maria Teresa rimodella anche altri edifici, come l’Orto botanico. Si creano musei scientifici, come quello di Storia Naturale. Insomma, la cultura rifiorisce. E le sedi della sapienza si riempiono di nomi illustri

Nel settecento, girate per le aule dell’università, vuole dire imbattersi in docenti che passeranno alla storia. Primo fra tutti, Lazzaro Spallanzani. Lo scienziato è qui  dal 1769, chiamato a insegnare Storia Naturale. Ma i suoi studi spaziano. Scopre il succo gastrico, compie esperimenti sulla fecondazione, intuisce l’esistenza degli scambi gassosi respiratori nel sangue. Si occupa anche di zoologia anticipando, insieme allo svizzero Charles Jurine, la teoria dell'eco localizzazione dei pipistrelli  scoprendo che questi mammiferi non sono in grado di evitare gli ostacoli durante il volo se le loro orecchie vengono tappate con la cera.

In un’austera aula dell’università si assiste anche a una lezione di Alessandro Volta. Il futuro inventore della pila insegna a Pavia Fisica Sperimentale dal 1778. Le sue lezioni sono talmente seguite da indurre il successivo imperatore, Giuseppe II, a ordinare la costruzione di un nuovo “teatro fisico”, oggi conosciuto come “aula Volta”.

Dalla sua cattedra assegnata nel 1783, rileva ogni particolare funzionamento di organi, ossa e tessuti umani il padre della moderna anatomia, Antonio Scarpa. Le statue di questi giganti del pensiero scientifico ancora oggi guardano severe dai vari cortili dell’ateneo, dove sono posizionate a perenne ricordo della loro attività didattica e scientifica.

Di Scarpa rimane qualcosa di più. Pare che lo scienziato fosse solito, in seguito al decesso di suoi illustri colleghi, utilizzarli come preparati anatomici, su cui effettuare studi. E, a seguito di questa singolare abitudine, alla sua morte gli venne riservato un trattamento simile. L’esposizione della sua testa conservata sotto formalina, è ancora visibile al museo dell’università.

Nel 1777 l’ateneo pavese assurge invece agli onori della cronaca a causa di una perfetta sconosciuta. Si chiama Maria Pellegrini Amoretti, e proprio in quell’anno si laurea in legge. L’aula, alla discussione della tesi, è gremita all’inverosimile. La curiosità è dovuta a un semplice motivo: è la prima donna ad addottorarsi all’università cittadina. Tanto che addirittura Giuseppe Parini, da li a poco, le dedicherà alcuni versi nell’ode “La Laurea”, esprimendo meraviglia per il fatto e aggiungendo, femminista ante litteram, come “la tirannia virile frema”.

Ma l’aria in città è destinata a cambiare.

Quello che l’imperatrice Maria Teresa costruisce, il figlio e successore Giuseppe II, distrugge. Il nuovo imperatore infatti non è certamente mosso dalla voglia materna di costruire e restaurare. Semmai il contrario. Anche se i suoi bersagli preferiti a Pavia, quando sale al trono nel 1740 alla morte di Maria Teresa, sono chiese e monasteri. Più di venti se ne contano fra chiusi, demoliti o trasformati in altrettanti edifici civili o pubblici. Ne fanno le spese il convento di Sant’Epifanio di cui oggi rimane solo il nome della via, dove troverà posto l’Orto Botanico, i conventi dei Gesuiti e di San Francesco, trasformati in liceo e collegio Germanico-Ungarico (oggi collegio Cairoli, nell’omonima piazza) e l’ex Chiesa di San Tommaso (attualmente ancora visibile in via Rusconi) trasformata in Seminario Generale per i chierici di Lombardia nel 1786.

Ma ben altri stravolgimenti sono alle porte di Pavia.

Tre anni più tardi, a mille chilometri di distanza , i parigini prendono d’assalto la Bastiglia. Scocca l’ora della Rivoluzione Francese che segnerà il destino d’Europa e  infiammerà anche Pavia.