Colpi di pistola sul Ponte Coperto, uccidono Ferruccio Ghinaglia
E’ la sera del 21 aprile 1921 quando Ferruccio Ghinaglia , giovane dirigente del Partito comunista pavese, sta attraversando il ponte Coperto. Ha appena partecipato a una riunione della Lega proletaria mutilati, da lui stesso fondata. Si sta avviando verso Borgo Ticino insieme ad alcuni compagni per presenziare alla riunione dei soci di una cooperativa. Appena alla riunione dei soci di una cooperativa. Appena al di là del ponte, davanti alla Casa Beretta, il gruppo viene investito da numerosi colpi di pistola. Una pallottola centra alla testa Ghinaglia che muore sul colpo .Ha poco più di vent’anni. A sparare sono stati i fascisti , che già da un paio di anni stanno alzando il tiro delle loro intimidazioni. Altre quattro persone restano a terra, ferite in modo grave. Il clima di concordia e tranquillità, che solo tre anni prima si respirava in città per la vittoria nella Grande Guerra ( il tributo di Pavia sarà alla fine di 518 caduti) è già un lontano ricordo.
La notizia dell’assassinio fa il giro della città in pochi minuti, provocando proteste e indignazione. I funerali sono seguiti da migliaia e migliaia di lavoratori, operai, studenti. Ogni attività è sospesa in segno in segno di lutto. Lo squadrismo fascista, sempre più violento e arrogante, con l’omicidio di Ghinaglia fa il salto di qualità.
Ma è già da circa un anno che le camicie nere seminano distruzione e manganellate. E non solo in città. Quasi un mese prima dell’uccisione del dirigente comunista, il 19 febbraio 1921, appare il primo giornale fascista Il popolo. Poco dopo il Vogherese Augusto Palmarini viene nominato fiduciario dei fasci di combattimento per la provincia di Pavia. Dalle azioni delle squadre sono vittime anche i popolari, considerati nemici alla stessa stregua di comunisti e socialisti.
La reazione della sinistra è incerta ed esitante, come nota Mino Milani.
Sul selciato di piazza XXIV Maggio ci si trova di fronte a una lapide che ricorda un altro antifascista. E’ quella di Umberto Ceva. Ceva era un dirigente industriale che nel 1929 aveva aderito al movimento di Giustizia e Libertà mettendo a disposizione le sue competenze di chimica per la confezione di ordigni esplosivi per eventuali attentati contro i fascisti. La sua partecipazione attiva all’antifascismo dura appena un anno poiché nel 1930 viene arrestato assieme a Ferruccio Parri, e accusato dallo stesso capo della polizia fascista Arturo Bocchini di terrorismo per aver preparato la bomba che il 12 aprile 1928 aveva provocato una strage del passaggio del corteo reale, con una ventina di morti e numerosi feriti.
Il chimico pavese si suicida nella notte di Natale del 1930 nel carcere di Regina Coeli a Roma per non fare i nomi dei suoi compagni.
Il quartier generale dei fascisti è in località Tre Re, appena fuori città. Il punto è strategico, perché facilmente raggiungibile dalla Lomellina e dall’oltrepò. Pavia è presidiata dalle guardie regie , che tuttavia rimangono impassibili di fronte alla violenza delle camicie nere. I tempi sono difficili. La presenza sempre più estesa e radicata del movimento socialista pavese è avvertita come una minaccia dagli agrari, che , in difesa dei propri interessi, armano le squadre fasciste.
Tra il 1921 e il 1922 la provincia di Pavia è tra le più colpite dalla violenza delle camicie nere, che in una prima fase vengono schierate a protezione dei “crumiri” durante gli scioperi bracciantili. Nel ’21 iniziano gli assalti gli assalti e le devastazioni contro le Case del popolo, le sedi delle leghe e delle cooperative , e le aggressioni contro gli oppositori politici.
La situazione precipita l’anno dopo. Sindaco di Pavia è il socialista Alcide Malagugini.
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28 Ottobre 1922, giorno della marcia su Roma, una squadra fascista agli ordini di Angelo Nicolato si presenta nell’ufficio di Malagugini nella sede municipale del Mezzabarba, intimandogli di abbandonare la carica. Il giorno successivo il sindaco, dopo aver convocato il consiglio comunale, indirizza una lettera al prefetto di Pavia per comunicargli le dimissioni proprie, degli assessori e dei consiglieri di maggioranza per “l’impossibilità di svolgere qualsiasi efficace opera amministrativa sotto il nuovo regime che si è di fatto instaurato nel Paese”.
Di fatto, è la fine della democrazia in città. Pavia e Provincia si piegano al nuovo regime. Il ras indiscusso dei fascisti pavesi e regista dell’operazione è Cesare Forni. Lo stesso capo del fascismo gliene è riconoscente. L'anno è il 1921, Forni e mussolini sono amici e strettissimi alleati. Il ras lomellino è uno dei capibastone che serve al futuro duce per terrorizzare i “sovversivi”, socialisti, comunisti, dissidenti e normalizzare il nord.
Roberto Lodigiani sulla Provincia Pavese scrive di Forni “ E’ proprio lui, alla guida delle Berrette Rosse, che di tale hanno solo il colore del copricapo, a guidare le squadre all’assalto dei Comuni e delle cooperative”. Alla fine dell’Ottobre del ì22, mentre le camicie nere calano su Roma. Forni garantisce che il Settentrione resti saldamente sotto il tallone di mussolini. Dopo la presa del potere, è lui l’uomo forte del fascismo pavese. Davanti al ras sembra schiudersi un futuro radioso, che potrebbe portarlo ai vertici del regime. Ma così non sarà “Forni, che incarna gli interessi degli agrari, è ostile in particolare all’istituto delle corporazioni , nelle quali sarebbero dovuto confluire le rappresentanze paritetiche dei lavoratori e del padronato, ed esercitarsi la mediazione dello Stato – scrive ancora Lodigiani – né dall’altra parte vede di buon occhio la normalizzazione del fascismo e l’ingresso nel movimento di opportunisti dell’ultima ora e di personaggi, per quanto influenti, estranei a esso almeno fino al ’22””.
Il dissenso lo porta presto a scontrarsi con il segretario del partito Francesco Giunta, e la componente pavese a lui fedele, che fa capo ad Angelo Nicolato e al capitano Bisi.
Lo scontro esplode quando Forni commissaria la sezione ribelle di Vigevano e alla loro protesta sospende d’autorità per indisciplina i dirigenti pavesi; da Roma , a quel punto, decidono di mandare in riva al Ticino il vice segretario Attilio Teruzzi, che in sostanza dà ragione ai dimissionari e silura il ras mortarese. Forni Sdegnato lascia il partito e si appella alla base squadrista : con lui si schierano fra l’altro , il vogherese Varni e lo stradellino De Scalzi. In vista delle politiche del ’24, dà poi vita alla lista dei Fasci dissidenti, di cui è l’unico eletto alla Camera, dopo essere sopravvissuto alla selvaggia aggressione subita alla stazione Centrale di Milano a opera della stessa squadraccia (la “Ceka fascista”) del toscano Amerigo Dumini che assassinava Giacomo Matteotti.
Forni rimane ai margini durante il ventennio e morirà pochi giorni prima del 25 luglio del ’43.