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David Fincher e la Rinascita del Thriller: Quando l'Autorialità Sfida Hollywood

"Te lo dice Matteo". Una nuova rubrica sulla passione per il cinema redatta da Matteo Filippi.

Con Seven, Fincher sovverte i cliché del poliziesco, offrendo una visione cruda e pessimista del mondo moderno.

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Il caso di David Fincher risulta emblematico. Fincher, alla stregua di Denis Villeneuve, potrebbe essere considerato il classico regista emerso da Hollywood. Un artigiano piuttosto sterile e privo di idee, interscambiabile; per cui chiunque altro regista con buone capacità tecniche potrebbe creare la stessa pellicola, con risultati migliori o peggiori. Fincher invece dimostra come anche dall’industria cinematografica americana, in cui regna imperterrito il potere economico e in cui l’unico obiettivo perseguito sembra quello del guadagno, possa ergersi una figura autoriale e creativa. L’opera seconda di Fincher, Seven riprende tutti gli elementi del thriller incentrato sulla figura del serial killer. I protagonisti, i detective Somerset e Mills non sono altro…

 

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La sua seconda opera, Seven, riprende tutti gli elementi tipici del thriller centrato su un serial killer. I protagonisti, i detective Somerset e Mills, incarnano archetipi consolidati nella narrativa poliziesca: il detective anziano, scontroso e disilluso, prossimo alla pensione, e il detective giovane, impulsivo e poco attento alle regole. Insomma, i soliti cliché. Tuttavia, Fincher apporta piccole ma significative variazioni che incidono profondamente sulla percezione dei personaggi da parte del pubblico. Fincher conferisce spessore e profondità ai suoi protagonisti, dando loro una storia, una vita, e una personalità ben definita. In questo modo, entrambi diventano rappresentativi di una visione piuttosto pessimista e malinconica del mondo moderno: un mondo brutale, intriso di crudeltà e meschinità, urbano e caotico, dove è impossibile trovare pace e serenità. Lo spazio filmico si fa espressione di questa visione, con ambienti suburbani saturi dei rumori assordanti della città, come sirene, treni, spari ed elicotteri.

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Ernest Hemingway ha scritto:
"Il mondo è un bel posto e vale la pena combattere per esso."
Sono d'accordo solo con la seconda parte.

Tornando ai due detective, più che personaggi, sono uomini con inquietudini e dilemmi interiori, capaci di riflessioni profonde sulla natura del mondo e della vita. In particolare, il detective Somerset, interpretato da Morgan Freeman, è un uomo di cultura e ingegno, dotato di uno spirito sensibile ma disilluso dalla vita e dal suo lavoro.
Fincher combina gli elementi del thriller con quelli del genere giallo e noir, nonché i classici polizieschi, rielaborando il tutto in una storia che, pur essendo ormai ben nota e sfruttata, rappresenta in qualche modo una novità nel genere. Già con il film che lo ha portato alla ribalta presso il grande pubblico, Fincher dimostra una notevole abilità nella gestione della messa in scena e nella costruzione dell’atmosfera che permea l'intero film.

Il film è caratterizzato da una tensione costante che domina lo sviluppo della storia, supportata da una fotografia che predilige tonalità scure, conferendo all’opera un’aura grottesca e adrenalinica. L'atmosfera noir è resa anche dalla scelta delle ambientazioni: spazi chiusi, oscuri e claustrofobici in cui lo spettatore è trascinato dai detective durante le indagini. Alcuni dettagli, come la pioggia incessante che opprime e soffoca la città, o l’uso di torce e luci artificiali durante i sopralluoghi, rivelano chiaramente l’intento di Fincher. La colonna sonora intensifica ulteriormente queste sensazioni, associando ai rumori diegetici della città suoni extradiegetici carichi di angoscia. Fincher crea nello spettatore uno stato di ansia costante per tutta la durata del film.

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Come accennato, il merito principale di Fincher è quello di rielaborare e adattare ai propri obiettivi artistici i materiali del patrimonio cinematografico da cui attinge.

Diversamente dai classici polizieschi hollywoodiani, la vittoria finale non va ai "buoni", ma al cattivo di turno. John Doe, interpretato da Kevin Spacey, che compare solo nelle scene finali, si consegna volontariamente alla polizia. La sua resa fa parte del suo piano, uno stratagemma per raggiungere il suo obiettivo. John Doe è un uomo intelligente, preciso, calcolatore e, cosa peggiore, paziente. Convinto di essere la mano di Dio, porta avanti quella che ritiene essere la missione affidatagli da un potere superiore: punire coloro che considera rappresentanti dei sette peccati capitali. Ira, lussuria, pigrizia, superbia, avarizia, invidia, e gola. L’ira è rappresentata dalla rabbia del detective Mills, mentre l’invidia è quella di John Doe stesso, nutrita per la vita di Mills. In questo modo, dopo aver costretto Mills a confrontarsi con la sua follia, Doe diventa l’ultima vittima/martire del suo piano delirante.

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Fincher dunque sovverte le regole stabilite dagli standard hollywoodiani nel racconto poliziesco. Non c’è un lieto fine, nessun eroismo, nessuna vittoria. Solo la desolazione di ciò che rimane. Il "buono" soccombe alla volontà del "cattivo". Seven risulta essere una novità, un film più cinico e realistico rispetto ai precedenti dello stesso genere. Una pellicola che ha aperto la strada a opere future, compresi i film successivi del regista, per una nuova interpretazione del conflitto tra bene e male.

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