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Storia Industriale di Pavia: Le Fabbriche del Passato di Ezio Tiraboschi

Un viaggio nel passato industriale di Pavia, tra fabbriche storiche e inquinamento.

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Come accennato nel precedente scritto, la Fonderia Ambrogio Necchi all’inizio del secolo scorso era insediata in Corso Cairoli 3, proprio accanto al Collegio Cairoli, opera risalente al 1781, ex monastero di frati francescani destinato a collegio dall’imperatore germanico-ungarico Giuseppe II d’Austria.

Per inciso, l’edificio fu requisito da Napoleone per trasformarlo in caserma. Solo nel 1948 la struttura ritornò ad essere collegio universitario diretto dal magnifico rettore Plinio
Fraccaro. All’inizio del ‘900 erano invero molte le infrastrutture industriali situate all’interno delle antiche mura cittadine.
Di certo allora non si prestava alcuna attenzione al problema dell’inquinamento atmosferico e acustico.
Ciminiere che espellevano fumi e polveri di qualsiasi natura dominavano il panorama pavese confondendosi con le Torri medievali e le cupole delle chiese.

Faccio qualche esempio:
Tutto il lato sinistro di via Luino scendendo da viale Gorizia era occupato dal Cappellificio Vanzina, produttore di pregiati cappelli in feltro. Dall’opificio si ergevano due ciminiere che emettevano, l’una più alta, fumi neri e l’altra, più bassa, fumi più chiari, quasi bianchi.
Nelle vicinanze della confluenza del Naviglio con il Ticino, appena fuori Porta Garibaldi, agli albori del ‘900, sorgevano le Officine Tecniche Nazionali ing. Einstein, Garrone & C., impresa avviata a Pavia dai fratelli Hermann e Jakob Einstein e da Lorenzo Garrone.
L’azienda costruiva dinamo e motori elettrici, lampade ad arco, amperometri, interruttori e contatori.
In essa erano impiegati più di 80 dipendenti, destinati sia alla produzione che all’installazione dei primi sistemi elettrici pubblici.
Fu la prima impresa a Pavia a introdurre un regolamento per gli operai e uno statuto di Mutuo soccorso per un aiuto concreto ai dipendenti in malattia o infortunati sul lavoro.
Se il cognome dei fratelli vi induce a pensare ad Albert, ebbene sì, Hermann era il padre del grande scienziato, che visse a Pavia sedicenne con la famiglia in via Foscolo, nel palazzo Cornazzani, già dimora di Ugo Foscolo e del Beato Contardo Ferrini e in anni post Einstein dalla poetessa Ada Negri.
Sempre all’inizio del ‘900 in viale Canton Ticino sorgeva la Moncalvi & C. carpenteria poi trasformatasi in produttrice di macchinari per l’edilizia e draghe.
Oggi sull’area della fabbrica sono stati costruiti moderni edifici abitativi e commerciali.
Ha resistito solo la palazzina dei dirigenti, tuttora sede della Provincia Pavese.
In viale delle Repubblica sorgeva l’opificio Carlo Pacchetti che lavorava il crine e altri peli animali.

In via Riviera, lato sinistro appena dopo il cavalcavia della ferrovia, era attiva la Dionigi Ghisio & figli, che aveva inglobato la Hartmann-Guarneri e produceva articoli medicali asettici, bende e cotone e aveva ottenuto l’esclusiva dall’Esercito.
L’attività era così importante che fu data l’autorizzazione affinchè binari della ferrovia arrivassero direttamente all’interno della fabbrica.
Vi lavoravano circa 200 dipendenti, quasi tutte donne, che si diceva a Pavia, lavoravano “al cuton”.
La Ghisio smise l’attività nei primi anni 70 e subentrò la Repetto & Fontanella che produceva gabbie per uccelli.
Nel 1905 lungo la direttrice per Cremona, oggi viale Monte Grappa, si installò la SNIA Viscosa, fabbrica per la lavorazione e tintura delle fibre di seta artificiale, assorbendo e ampliando la
struttura di una precedente attività analoga.
Negli anni successivi arrivò ad occupare 170.000 mq con continui ampliamenti strutturali tanto da diventare uno dei complessi industriali e finanziari più importanti dell’intero Paese.
Fu costruito un intero quartiere di palazzine e villette, detto appunto quartiere residenziale Case Viscosa destinato ad operai e impiegati sia pavesi, sia per accogliere le centinaia di famiglie che dal Sud erano emigrate a Pavia attratte dalla notevole capacità occupazionale della fabbrica.
Dotando il complesso di abitazioni di servizi comuni quali mensa, lavatoio, asilo, prendendo spunto da simili iniziative innovative realizzate all’estero.
Fu persino ampliata la tratta tranviaria per collegare più agevolmente il centro città con San Pietro.
Negli anni 30 erano circa 2.000 i lavoratori della Snia Viscosa. A parte l’aria irrespirabile che dominava tutta la zona e le pesanti condizioni lavorative all’interno, essere occupati alla Snia appariva un privilegio, dava un senso di sicurezza e di stabilità economica che non tutti i pavesi potevano permettersi.
Su impulso dell’allora presidente Franco Martinotti, esperto del campo tessile, iniziò la produzione dio numerosi nuovi prodotti derivati dalla lavorazione della caseina, della cellulosa e del poliestere.
Vennero così lanciati sul mercato nazionale e internazionale il Lanital, la Merinova, il Rayoncord, il Fiocco, il Koplon, il Lilian, il Veliche.
Purtroppo subentrò una pesante crisi aziendale negli anni 70, una drammatica situazione che colpì la gran parte delle industrie pavesi e l’impresa cessò definitivamente all’inizio degli anni 80 la propria attività.
Tanto importante è stata la SNIA Viscosa nel secolo scorso per il benessere e lo sviluppo di Pavia, tanto pesante è l’eredità lasciata alla comunità pavese.
Il suolo dell’immensa area è risultato gravemente inquinato, tanto che ancora oggi, a parte alcune palazzine ristrutturate ubicate nelle zone perimetrali, è dismessa e nel degrado.
Nel prossimo intervento darò spazio ad altre industrie pavesi nate qualche decennio dopo, dagli anni 30 in poi, anch’esse importanti per la crescita economica, sociale ed urbanistica della città.
Parlerò della Vigorelli, della SAITI-Fontana, della Fivre, della Montecatini e di altre.

EZIO TIRABOSCHI