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Pavia negli Anni 70: Tra Ribellione, Musica e Cambiamento Sociale

Un tuffo nel passato della città, tra i boom economico, la cultura giovanile, i locali storici e i cambiamenti sociali che hanno segnato un'epoca di utopie, libertà e trasformazioni radicali.

Di Fabio Greggio

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La Pavia del boom economico, delle prime 500, dei giovani che portavano pantaloni troppo a campana e delle ragazze con cappotti lunghissimi e gonne cortissime. Le moto…Ital Jet… Moto Guzzi…i Ciao. Il Cantagiro, il Disco per l’Estate, Canzonissima e Carosello e i primi gruppi musicali dai nomi improbabilissimi: a Pavia c’erano Le Perche Sciroppate, I Numi, I Problemi, Drupi e Le Calamite, i Peones e i Crema e moltissimi altri che facevano il verso ai Beatles dapprima e poi il rock decadente inglese dei primi anni 70. Lentamente dopo il 68 cambia la faccia dei giovani, ribelli, capelli lunghissimi, barbe incolte…la Pavia dopo gli anni 60 era una città in fermento, spesso all’avanguardia con i Settembre Culturale che portava la cultura nei quartieri. Anni 70, si fa presto a dirlo. In realtà ci sono 2 anni 70. I primi anni 70 quelli del psichedelico, dell’Hard rock, dei Santana e di Mao, di Fidel Castro e delle assemblee infinite, delle occupazioni e della sensazione che a breve una Rivoluzione avrebbe spazzato via il vecchio.

 

E i secondi anni 70, l’inizio del disimpegno, la Febbre del sabato sera, la “discomiusic”, Freak out! Gli spinelli, i primi casi di HIV, … Noi di Pavia la domenica si andava all’Old River, mitico locale di Piazza Minerva dove suonò uno sconosciuto Battiato che abitava in Corso Cavour, snobbato perché sperimentale. Suonavano gruppetti locali, i Crema, Le Pesche Sciroppate, i Numi…scaletta sempre uguale…..Gimme some lovin’, Smoke on the water, Black dog, e poi i lenti per limonare, Procol Harum, Battisti e finale con la mitica Samba pa ti di Santana. Se non ce la facevi nemmeno con Sampa pa ti, lasciavi perdere. Il locale era buio e circolava un buttafuori che noi chiamavamo “Gasusa” ovvero Gazzosa per il suo incedere da culturista con Tshirt anche con -10°C, che controllava le risse o che il limonare non si trasformasse in performances di sesso spinto. All’ingresso trovavi sempre Kocis e qualche suo amico in eschimo militare, capelli lunghissimi, brufolosi che ti chiedevano 100 lire per entrare. D’estate si andava a Ticino.

 

Al Lido, dove si faceva ancora il bagno. Una lunga processioni di biciclette o 500 Abarth truccate con ruote fuori dalla carrozzerie, praticamente monolocali, alcove motorizzate, come quella di Fulvio: autoradio, ribaltabili, Stereo 8 con cassette enormi ma senza aria condizionata che allora avevano solo le auto costose. Ma con deflettori e accensione a leva. Ci fu poi l’ondata dei Diane 6, meglio azzurro o Beige seguite dalle Diane 2CV, come la mia, 450 di cilindrata che se facevi una salita da fermo non portativi più e, giuro morire, ancora la manovella per accensione d’emergenza sul cofano davanti. Si andava al Lido, al Poligono, alla Casa sul Fiume, più per gente di destra. C’erano i politicizzati di Lotta Continua che si riunivano in Strada Nuova davanti all’Università e quelli di destra, cosiddetti Sanbabilini che si trovavano al Bar Lux in Piazza Vittoria, vicino alla sede del Msi o al Docking, sala da ballo. Una gazzella della Polizia sempre fissa per le innumerevoli risse. Ogni tanto un compagno testa calda partiva in quarta per tentare la scalata al balcone del Msi inseguito dai manganelli della polizia. Il Sanbabilino, così chiamato per emulazione dei ragazzi di destra neofascisti che si riunivano in Piazza San Babila a Milano con frequenti sfilate a passo d’oca, vestiva come segue: Jeans aderenti vita altissima Sisley, maglioncino a V, occhiali obbligatori Ray Ban verdi a goccia, scarpe Barrow a punta con fiocchetto, Vespa blu. Il compagno invece aveva Lewis bassissima vita a campana tanto aderenti che la mamma ti aiutava a tirare su la lampo, tu steso sul tavolo e lei con la pinza, giuro morire,…. maglione aderente e corto che se ti chinavi in avanti mezzo culo era fuori, Eschimo militare obbligatorio, tascapane verde militare con scritte o disegni a pennarello, giornale Lotta Continua sotto l’ascella. Scarpe del tennis, come avrebbe detto Jannacci. Un posto cool per tutti era da Cesare, dove lui ti aspettava nella sua latteria con grembiule bianco e con la dignità di un professore di Fisica quantistica, annotava le sue ordinazioni: cioccolata con zabajone, caffè con panna……e scriveva proprio “una cioccolata….”

 

Sussurrandone quanto scriveva. Pavia era polverosa e camminando per le vie strette potevi infilare un dito nell’intonaco antico, girava Pierino il matto che ti minacciava o ballava come Raffaella Carrà, la sera batteva in stazione l’unico trans, l’Ornella, che imitava benissimo Ornella Vanoni, le prostitute erano solo in Viale Trieste o sotto il ponte dell’Impero, dove vi era anche il mitico Topo, famoso robivecchi che accumulava montagne di radio di quelle vecchie ante guerra di legno e ti dava anche le valvole mancanti, frigo, mobili e se ti serviva una cosa o c’era confusione in camera la frase di rito era “Ma pàr al Topo suta ‘l Pont dl’impèr…”. Il quartiere dove abitavo, palazzi gialli anni 20, famiglie proletarie dal Veneto, Emilia, Sardegna, Sicilia, Puglia, Marche…..io sapevo imitare tutti i dialetti e conoscevo vizi e virtù di ogni popolo italiano. L’odore delle cantine ti diceva molto sul proprietario, di mele e vino, pecorino e chi si portava perfino il capretto che belava in continuazione. Storie di proletariato, venditori ambulanti che urlavano di mele o angurie, di pesche "dall’osso che si spacca” ai materassi. Storie di amori di fabbrica e tradimenti, di figli illegittimi e polizia che ogni tanto veniva a sedare risse condominiali. E noi cresciuti fra il grande prato dove respiravamo l’odore della stagioni, le capanne fatte di robinia, i chiodi messi sui binari della ferrovia aspettando gli ultimi treni a carbone di Porta Garibaldi passare e pressarli come spade, la caccia alle lucertole. D’inverno nevicava e il prato diventava un corteo non autorizzato di bambini. Si andava a rubare i cartoni nel retrobottega del panettiere Ghezzi per scivolare dalle rampe del prato, oppure si pattinava senza pattini sul Naviglio ghiacciato, quando ancora ghiacciava davvero prima che con l’acqua degli ultimi anni ci si potesse sviluppare le foto…. Rubare i cartoni dal “prestineè” o panettiere era un rito. Ricordo ancora sere ognuno dentro al proprio enorme cartone, ad osservare il cielo immaginando Marte o Venere, mentre cantando a squarciagola “Guarda che luna” tornava ubriaco perso, con la sua bicicletta tenuta a braccio, il Pèp e sua moglie indispettita che andava lui incontro minacciandolo e promettendogli ogni tipo di tortura fisica appena a casa. Si infilavano file di bombette da carnevale nelle fessure basse delle porte delle abitazioni e poi si fuggiva….le lunghe partite di calcio alle 8 di sera con la nebbie dove capivi che si stava ancora giocando dall’altra parte del campo perchè udivi le urla e tua madre che ti chiamava e minacciava di tornare a casa a fare i compiti “ che appena a casa te la do io!”. I primi amori e i baci nelle cantine o sotto i platani del Naviglio, i primi amici morti di droga o incidenti, il primo sesso nelle case dove i genitori facevano i turni, o gli amori fuori quartiere…si partiva con il filobus e si andava a Città Giardino che era pieno di ragazze belle a limonare nascosti nei cancelli o nei portoni. Spesso si partiva per Milano, noi di provincia vomitati dalla Metro in centro assieme a quelli dell’hinterland milanese, con i nostri eccessi di abbigliamento, i nostri capelli troppo lunghi da teppistelli di periferia, i nostri atteggiamenti da tamarri , non sapevamo che eravamo proprio noi che stavamo facendo gli anni 70, noi che inconsapevolmente eravamo l’iconografia di quegli anni, perché di ogni decade si ricorderà solo gli eccessi e mai il figlio dell’avvocato che farà il master ad Harward…. Insomma abbiamo dato. Un epoca finita che ritorna spesso nella musica, moda.

 

Mai completamente dimenticata. Anni di utopie e libertà. E Pavia ci stava a guardare dalla sua posizione millenaria, benevola e accogliente come una madre, piccola città vivace piena di universitari e di poesia, tanto ricca di storia che nemmeno chi ci abita si ricorda. E non ci si ricorda che ogni 100 metri di sponda del Ticino aveva un nome, che in ogni palazzo del centro ci abitava un nobel, uno scienziato, un poeta famoso e inventore che cambiò la storia dell’umanità. Che ogni chiesa vide papi e imperatori, Re e umili del popolo. Questi ultimi sono quelli che hanno fatto la storia, quella vera.

 

Scritto Fabio Greggio 71 facebook Pavia Fanpage 4 dic 2016 scrivi titolo e sottotitolo articolo