Skip to main content

La Pavia del 1962: Ricordi di un'infanzia tra tradizioni e cambiamenti

Tra le vie storiche, i sapori autentici della Pangialdina e la serenità di una città in trasformazione, un viaggio nostalgico nella Pavia del passato.

Di Fabio Greggio Pavia Fanpage

 460196567_538247328856930_1238039911879312732_n.jpg

 

PIANGIALDIN
Pavia, 1950. corso Manzoni angolo via Guidi, casa Bancolini, a sinistra della drogheria le vetrine del bar Cavour
Clicca sulla foto per una migliore visualizzazione.
Ricordo, era il 1962, quando abitavo in via De Canistris, quella viuzza che faceva angolo partendo dal giardino dei Bagni Pubblici di fronte al Castello.
Abitavo proprio nella deliziosa villetta posta nel gomito della via.
Io nato in campagna a Sartirana catapultato nel cuore di una città.
La Pavia del '62 era una città di certezze. Seri uomini in completo e cravatta, casalinghe con tre figli, le prime auto dalle carrozzerie strane che si allontanavano dalle vecchie Topolino,
i filobus verdi, un senso che tutto andasse come doveva andare. Non aleggiava quel senso di anarchia e rassegnazione al peggio di oggi.
Tutti avevano le loro piccole sicurezze, i loro primi soldi in eccesso per comperare la cucina, l'auto, per far studiare per la prima volta in famiglia i propri figli, il primo supermercato Vigorelli di fronte la Prefettura costruita in stile mussoliniano dal fascismo abbattendo vecchi caseggiati che costituivano davanti all'Università Piazza Italia, ovvero l'antica Piazza della legna, dove anticamente si teneva il mercato dei legnami.


Negozi antichi, Vigoni, Comini, Demetrio....e i panifici Tenti di cui il primogenito era posto all'imbocco di Piazza Petrarca.
Piazza Petrarca è la piazza che da il nome al genio letterario Francesco Patrarca, che abitava proprio li vicino.
Innamorato della città di Pavia nel 1300 non si risparmiò a descriverne il fascino e la bellezza ricordandola "posta su un altura, ricca di fascino e storia e dall'aria salubre".
Da quelle parti doveva innalzarsi la famosa ed elegante Torre Boezio, la torre dove venne tenuto in prigione Severino Boezio appunto, che con le sue opere ha avuto una profonda influenza sulla filosofia cristiana del Medioevo,che usciva dalle catacombe e diveniva religione di stato.
Boezio fu arrestato ingiustamente da Re Teodorico che a Pavia si era fatto costruire un Palazzo Reale sontuoso, terme e anfiteatro.
Boezio fu strangolato con la garrota poche centinaia di metri più a nord, in borgo Calvenzano e poi sepolto nell'attiguo cimitero romano posto più o meno in zona Santa Rita dove fu costruita la chiesa di San Pietro in Cielo d'Oro per conservarne le spoglie che ancora riposano dietro l'altare nelle cripta.
Dopo pochi giorni a Teodorico fu servito per pranzo un enorme pesce. Guardandolo gli parve di vedere la testa di Boezio che lo fissava.
Ne fu terrorizzato al punto tale che, colto da malore, morì di li a poco.
Insomma, tornando alla mia più umile storia, ricordo che la mattina uscivo con mia madre per recarmi alla mia scuola elementare, la Mazzini, nel cuore dei dedali di vicoli in zona San Tommaso.


Si partiva a piedi e si attraversava l'Università sbucando in Piazza Leonardo da Vinci sotto le tre torri antiche dove vi era l'antica sede dell'Ospedale San Matteo.
Ma prima si faceva una leggera deviazione per comperarmi la merenda delle 10.
Entravo da Tenti, panificio e pasticceria storica di Pavia, tra i profumi del pane e dei dolci che solo le antiche panetterie avevano.
Tra arredi di legno antico, vasi con coperchi d'argento, signorine in camice coordinato e dall'aspetto ben curato, micconi e rosette, altro che pane arabo....., dolci e cioccolatini, anziane clienti snob con i cappellini curiosi e con questa parlata a me nuova che sembrava il milanese parlato da un piacentino, mia madre ordinava una "Pangialdina"
Un dolcetto paradisiaco di farina di mais e burro.


Proprio il sapore della crema di latte che ti resta dopo il primo morso, la crosta bruciacchiata appena croccante e all'interno la morbida consistenza dal profumo tipico del mais, quasi di polenta, che appena svanisce lascia il posto all'aroma cremoso di panna o latte.
Non era come le pangialdine di adesso che sembrano grandi amaretti, ma un dolce rotondo che si alzava almeno di tre centimetri al centro, quasi come un vulcano.
Non ne ho più mangiate buone come quelle, il sapore di polenta e panna con la crosta bruciata dal forno mi è rimasto nell'anima.
Mi avviavo a scuola con questo scartoccio tenuto religiosamente nella cartella di cuoio, fra i sussidiari e le biro "Lyretta", pennini e carte sorbenti e astucci regalati da Maruffi se eri un suo cliente buono....


Per chi non conosce la pangialdina, il dolcetto di Pavia, ve ne offro una ricetta qui sotto.
Buon Appetito:
Ingredienti: per 4 persone
150 g di farina gialla
200 g di farina bianca
100 g di burro
130 g di zucchero
2 uova
1/2 bustina di lievito per dolci


Preparazione:
Per la teglia: una noce di burro ed un cucchiaio di farina. Far ammorbidire il burro e dividerlo a pezzetti.In una ciotola setacciare insiemela farina gialla, la farina bianca ed il lievito.
Aggiungere lo zucchero, mettere al centro le uova ed il burro.Mescolare gli ingredienti facendoli amalgamare bene per ottenere un impasto morbido.
Formare tante palline di circa quattro centimetri di diametro ed adagiarle sopra una teglia imburrata ed infarinata.
Far cuocere in un forno preriscaldato a 170°C per trenta minuti.
Togliere dal fuoco e far raffreddare.


Fabio Greggio per Pavia Fanpage