La Fabbrica del Ghiaccio: Dalle Ghiacciaie Campestri alla Produzione Industriale di Pavia
In un tempo non troppo lontano, il commercio del ghiaccio era una necessità quotidiana, con metodi ingegnosi di conservazione che si sono evoluti nel tempo. Dalle "giasere" delle campagne alle moderne fabbriche di ghiaccio di Pavia, come quella fondata nel 1902, la produzione e distribuzione del ghiaccio trasformò la vita delle città.
Oggi apriamo il frigorifero e troviamo i generi alimentari sempre freschi e nella necessita cubetti di ghiaccio già pronti.
Ma una volta e neppure tanto tempo fa non era cosi, nelle città esisteva un piccolo commercio al minuto del ghiaccio, mentre nelle campagne da secoli si provvedeva al bisogno estivo di ghiaccio, allagando nel periodo invernale un prato e successivamente tagliare il ghiaccio formatosi per poi conservarlo in un apposito ricovero chiamato “Giasera” Ghiacciaia.Questa era formata da una grossa buca, dove il ghiaccio veniva depositato, un tetto a forma di capanna fatto interamente di legna copriva il tutto.
In questo modo il ghiaccio si conservava anche nei caldi mesi estivi.
A Pavia nel 1902 si costituì una Società Anonima che, dal mese di luglio iniziò un’intensa e regolare produzione di “pani” di ghiaccio.
Si usava un’acqua che per tradizione popolare era considerata limpida e fresca: “quela di cup” un’antica sorgente che scaturiva sotto il bastione di S. Stefano, sorretta da un tegolo “cup” rovesciato, (oggi Piazza Dante).
Una sorgente tra i pavesi famosa si diceva, anche per le sue decantate virtù terapeutiche. Quest’acqua veniva filtrata attraverso strati di ghiaia e di carbone ed immessa nella vasca di congelamento.
La fabbrica riuscì a produrre 130 quintali di ghiaccio al giorno, e i “pani” di ghiaccio di forma allungata pesavano 25 chilogrammi. Il prezzo di vendita era dai 3 ai 5 centesimi al chilogrammo.
Visto i successo, la società dette immediatamente corso a nuovi pozzi artesiani che si trovarono in ordine di tempo a: Porta Nuova, Porta Calcinara e in Borgo Ticino.
Un’iniziativa apprezzatissima che suscitò lodi ed incoraggiamenti ed ottimi profitti.
Negli anni 50’ molte famiglie avevano ancora la “giasirola” il frigorifero sarebbe arrivato più tardi, e noi ragazzini aspettavamo il “giasé” che con il suo grido: “don ghè rivà al giasè” avviava le massaie del suo arrivo per la vendita del ghiaccio.
I piccoli pezzi che si formavano rompendo il pane di ghiaccio, venivano offerti dal uomo a noi ragazzini che lesti prendevamo e succhiavamo felici.
Di Mario Veronesi da Pavia Fanpage