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Intervista a Marco Faggi: tra arte, materia e memoria

Marco Faggi racconta il suo percorso artistico, dalle prime esperienze con il padre Remo Faggi alla creazione della sua Fondazione, tra ricerca materica ed esposizioni internazionali

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Marco, ci racconti del tuo percorso accademico e delle tue prime esperienze come affreschista insieme a tuo padre, Remo Faggi?

Per amore di mio padre, fin dall'infanzia ho seguito le sue orme. Papà mi ha preso sotto la sua ala già in tenera età, e da lì non ho mai smesso di lavorare con lui. Successivamente ho frequentato il Liceo Artistico Raffaello Sanzio di Pavia, dove papà era docente, anche se non ho mai ricevuto trattamenti di favore per questo. Poi mi sono iscritto all’Accademia di Belle Arti, scegliendo il corso di Scenografia, che ho frequentato sempre in presenza. Qui ho approfondito non solo la pratica artistica, ma anche la storia dell’arte.

Come si è evoluto il tuo percorso artistico, dai primi quadri espressionisti fino al superamento del disegno figurativo?

Dagli anni '80 in poi, dopo aver sperimentato l’arte figurativa, soprattutto con il pastello, ho iniziato a creare figure abbozzate con poco colore, cercando le tonalità nella natura stessa. Il mio obiettivo era esprimere concetti legati all’interiorità dell’essere umano, con particolare attenzione ai disagi provocati da una società alienante. La prima mostra di questo tipo l’ho realizzata a Piacenza nel 1985, sotto la curatela del critico Carini, che mi ha accostato ad Achille Bonito Oliva. È stata una grande soddisfazione.

Quali tecniche prediligi per realizzare le tue opere?

Non ho mai amato particolarmente il colore in sé, ho sempre preferito la materia. Nella materia si vede l’impronta, la gestualità. Il colore mi piace utilizzarlo a livello di pasta, come elemento strutturale più che come fine estetico.

Hai esposto nelle maggiori città italiane ed estere. Quali esperienze ti sono rimaste più impresse?

A metà degli anni ’80 sono approdato a New York con le mie prime sperimentazioni astratte, basate sulla ricerca di materiali, fino ad arrivare a perforare una tela con il fuoco. A Milano ho esposto in diverse gallerie, sia in mostre personali che collettive, con una progressiva crescita che mi ha portato fino alla mia attuale collaborazione con il professor Puntelli, con cui ho esposto a Barcellona.

Dopo la morte di tuo padre hai dato vita alla Fondazione Remo Faggi. Ci racconti in cosa consiste questo progetto?

La Fondazione compirà un anno il 21 marzo e ha già ricevuto un importante riconoscimento da un’altra fondazione in Sicilia. Dopo la scomparsa di mio padre, mi sono subito attivato per realizzare il suo sogno: creare una realtà che portasse avanti la sua opera e quella di artisti vicini alla sua visione e alla mia. La fondazione ha iniziato a lavorare attivamente per promuovere le sue opere e quelle di una cerchia di pittori affini, esponendo in gallerie nazionali e internazionali, oltre che in musei civici. È un progetto che va oltre la memoria personale, diventando un punto di riferimento per la valorizzazione di un certo tipo di ricerca artistica.

Un’eredità che continua a vivere attraverso l’arte.

Esatto. L’arte è un linguaggio senza tempo e il mio obiettivo è far sì che il lavoro di mio padre e il mio possano dialogare con il presente e il futuro.

Intervista by Barbara Quaroni