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Il cuore industriale di Pavia negli anni ’50: un viaggio nella storia delle fabbriche e del lavoro

Dalle grandi industrie meccaniche e chimiche che animavano la città ai cambiamenti urbanistici e sociali della deindustrializzazione: il racconto di una trasformazione epocale.

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Anni ’50. Vecchie “Topolino”, nuove 500 Fiat, qualche Giulietta Alfa Romeo transitano per Strada Nuova e Corso Cavour ancora aperte al traffico, Il Ponte Coperto è stato inaugurato da poco, i filobus Alfa Romeo 800 F della filovia urbana trasportano centinaia di persone da Città Giardino al Borgo e viceversa.
Qualche minuto prima delle 8 la quiete di Pavia viene interrotta da decine di sirene.
Sono quelle delle tante industrie che di lì a pochi minuti accoglieranno almeno 30.000 lavoratori, uomini, donne, giovani “garzoni” la maggior parte in tuta blu, che iniziano il loro turno in fabbrica.
Pavia in quegli anni era, dopo Milano, il capoluogo lombardo con maggior tasso industriale, fabbriche prevalentemente meccaniche e chimiche.
Perché un così alto concentramento di realtà industriali a Pavia?

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A ridosso del nucleo urbano già alla fine dell’800 e nei primi anni del ‘900 si erano insediate numerose industrie di notevole importanza condotte da lungimiranti proprietari che avevano individuato la zona pavese per costruire i loro opifici per la facilità di accesso, per il basso costo dei terreni su cui realizzare le strutture e per l’abbondanza di acque, dal Naviglio al Ticino (Officine Elettromeccaniche Einstein-Garrone, Moncalvi & C., Neca -Fonderia Necchi & Campiglio, Opificio Carlo Pacchetti, Dionigi Ghisio & Figli, Cappellificio Vanzina, Ambrogio Necchi)
Nel secondo dopoguerra l’industria pavese si sviluppò ulteriormente per l’avvenuto potenziamento delle infrastrutture di trasporto quali la linea ferroviaria Milano-Genova, per il riutilizzo a basso costo di preesistenti insediamenti per nulla o poco danneggiati dal conflitto mondiale e non ultimo per la possibilità di utilizzo di numerosa manodopera disponibile che aveva abbandonato la campagna per trasferirsi in città.
E’ difficile elencare in dettaglio tutte le più importanti industrie degli anni ’50.
Ci provo, dimenticandone certamente alcune.
VITTORIO NECCHI, NE-CA, SNIA VISCOSA, KORTING, FIVRE, GALBANI, SAITI- FONTANA, che complessivamente occupavano circa 15.000 addetti.
E poi VIGORELLI, MONCALVI, FONDERIE CATTANEO, CASER, LANDINI, ALUCAPS, MERK,SHARPE & DHOME, OFFICINA DI COSTRUZIONE DEL GENIO CIVILE (“ARSENALE”)
MONTECATINI, IMMI DI GRECCHI, BERGONZI e altre che con addetti fra i 150 e i 500, occupavano circa altri 15.000 addetti.

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Per tutta una serie di motivazioni complesse che qui non è il caso di approfondire in quanto occorrerebbe lasciare la parola ad esperti e studiosi del settore, dagli anni ’70 si manifesta un progressivo fenomeno di deindustrializzazione dell’area pavese. Il processo lento ma inesorabile porta alla chiusura o al ridimensionamento di quasi tutte le grandi e medie realtà industriali della città che ha espulso dal lavoro quasi il 90% della forza lavoro e che oggi è rappresentato da innumerevoli aree dismesse o riutilizzate per altri usi abitativi o commerciali.
Ciò ha inevitabilmente causato una trasformazione del tessuto produttivo, economico, sociale ed anche urbanistico di Pavia, tanto che oggi, a parte poche medie industrie, grande distribuzione, commercio di vicinato e servizi, artigianato e agricoltura del territorio, tutto ruota attorno ai poli sanitari, all’Università e alle strutture pubbliche.
Nella seconda metà del secolo scorso la maggior parte delle famiglie pavesi traeva il proprio benessere e basava il proprio futuro direttamente o indirettamente da quelle importanti fabbriche, dalla loro capacità di creare sviluppo e lavoro.


Sarebbe interessante, a memoria storica, costruire un percorso temporale delle industrie pavesi e della conseguente trasformazione della città.
In un prossimo intervento scritto su questo portale tenterò di riassumere le caratteristiche delle più importanti industrie pavesi del ‘900, proverò a ripercorrerne le principali tappe (origine, sviluppo, chiusura, dove erano insediate e cosa sorge oggi nelle aree allora occupate).
Chiedo la collaborazione di chi legge. Documenti, ricordi e immagini fotografiche che possano supportare la ricerca sarebbero di grande supporto.

EZIO TIRABOSCHI