Il cinema e Pavia
L'avvento del cinema nel Pavese
Capoluogo di provincia storicamente estraneo alle principali “rotte del cinema”, Pavia si confronta con la rivoluzione della “fotografia in movimento” secondo modalità e tempi comuni a molti altri piccoli medici entri dell'Italia del Nord.
A un primo rapido sguardo ce lo rivelano i dieci anni che separano il debutto cittadino del cinema della dall'apertura della prima sala a esso specificatamente dedicata, un tempo che imparenta Pavia a realtà come Brescia, Crema, Trento, o ai più piccoli centri provinciali come Vigevano, piuttosto che alle vicine Milani, Genova, Torino; oppure, più sottilmente, ce lo suggerisce l'analisi della modalità di consumo e della periodicità degli spettacoli lungo quel primo decennio di proiezioni: due, tre , quattro appuntamenti l'anno della durata molto variabile (da un paio di giorni alle tre settimane), fra Piazza, teatro e, più raramente, locali privati (caffè ,associazioni eccetera)
Dieci anni che, cambiando punto di vista, strutturano e scandiscono al loro interno un processo necessario e rituale insieme: necessario perché articola in fasi successive la trasformazione del cinema da evento in abitudine, rituale perché solo attraverso la ripetizione si può compiutamente realizzare il suo “addomesticamento” sullo sfondo della realtà quotidiana, in parallelo all'evoluzione del pubblico dalla tipologia dello spettatore stupefatto delle prime proiezioni a quella dell'habituè.
Naturalmente l’analisi “locale” di tale processo non può sottrarsi al dialogo con il più generale contesto entro cui si dispiega, ossia quello del “cinema delle origini” periodo convenzionalmente compreso fra le prime proiezioni e il biennio 1914-1915; anni, questi ultimi, di profonde trasformazioni tanto nell'esercizio, con la scomparsa degli ambulanti, quanto nella produzione, con La rapida diffusione del lungometraggio che, in Italia, si accompagna alla Golden Age del cinema storico, da gli ultimi giorni di Pompei al kolossal Cabiria.
Si tratta, In altre parole, di proiettare all'interno di segmentazioni, cesure e salti definiti dalla storia del cinema quelli di una delle sue tante storie minori, per verificare, oltre l'identità di quest’ultima anche in grado le forme di coincidenze e scarto fra le due.
Di certo, come già rilevato più sopra, tempi e modi di diffusione del cinema nella sua fase iniziale a Pavia sembrano rispettare un “calendario” comune ad altri centri di pari entità demografica e composizione socio-culturale.
Più nel dettaglio, La loro analisi suggerisce un grande in grado ulteriore di segmentazione: emerge così l'immagine di una struttura in tre tempi (con naturalmente, più o meno estese zone in sovrapposizione nel passaggio/evoluzione dall'uno all'altro): uno iniziale di conoscenza , caratterizzato da una tempistica piuttosto imprevedibile e da una notevole varietà nella modalità di fruizione, in linea con la più generale situazione dell'esercizio del primo cinema; un secondo di stabilizzazione, interessato da una progressiva definizione dei luoghi e del calendario dello spettacolo cinematografico Grazie soprattutto alla presenza “rituale” degli ambulanti; un terzo di normalizzazione, prodotto dall'apertura delle prime sale e dalla loro programmazione quotidiana ,con un considerevole aumento, rispetto alla fase precedente, dell'offerta cinematografica tanto in termini quantitativi che qualitativi, con la conseguenza, anche se non immediata, di rendere superflua l'attività degli ambulanti.
A voler (e dovere) dare una scansione cronologica più precisa, possiamo assumere il 1903 come cerniera fra una prima fase di scoperta e una seconda di stabilizzazione: a partire da quell'anno infatti, le occasioni di assistere a proiezioni cinematografiche a Pavia si moltiplicano e si codificano piuttosto rapidamente, da una parte grazie agli ambulanti ospitati al Teatro Guidi (dai due al quattro all’ anno, con regolarità fino all'inizio della guerra) dall'altra per merito dei baracconi richiamati sul baluardo Broglio di Piazza Castello in occasione della fiera di Pentecoste (dal 1904 al 1914).
Meno netto appare il secondo “stacco”: le prime sale pavesi, aperte nel 1907, non rappresentano da subito una minaccia per l’esercizio ambulante. Per due o tre anni ancora sembra esserci spazio per tutti, soprattutto per quei baracconi che giungono in città durante la fiera di Pentecoste. Più precoce è invece la crisi degli ambulanti di teatro, i cui incassi cominciano ad assottigliarsi fino dal 1909- In ogni caso, il triennio 1907 – 1909, a Pavia. Come altrove, segna l’avvicendamento fra esercizio stabile e ambulante.
Un processo lento ma definitivo, che stabilizza una volta per tutte luoghi e tempi del consumo cinematografico, chiudendo una fase disordinata ma appassionante per immettere la “settima arte” nella stagione della sua prima vera maturità.
Tratto da :
Acquistabile su: https://www.amazon.it/cinema-Pavia-Francesco-Ogliari/dp/8873321763