Delitto in Contrada San Tommaso: il mistero irrisolto del giovane Sforzini di Ezio Tiraboschi
Un omicidio del 1861 a Pavia, false piste, vendette, processi e una sconvolgente confessione dieci anni dopo: chi ha davvero ucciso Luigi Sforzini?
In contrada San Tommaso, oggi via Rusconi, la notte di sabato 27 luglio, Luigi Sforzini, giovane diciannovenne, garzone parrucchiere, viene assassinato con due coltellate al fianco sinistro.
Nessuna traccia dell’omicida, un testimone vede un uomo fuggire verso la contrada del Pizzo ingiù, senza poterlo ne identificare ne descriverne aspetto e vestiario.
Immediatamente i sospetti delle Autorità preposte alle indagini si concentrano su Giuseppe Rusconi, parrucchiere con negozio in Strada Nuova, presso cui lavora lo Sforzini.
Viene alla luce che il Rusconi era estremamente geloso della moglie, la quale aveva confidato al garzone i maltrattamenti subiti dal marito e la sua volontà di separarsi.
La posizione del parrucchiere si complica ulteriormente per le testimonianze della fidanzata dello Sforzini, Marianna Peroni e della zia Luisa Manzi che indicano nel Rusconi il probabile assassino.
Ciò non bastasse, Vincenzo Fiore, un brigadiere di P.S., rilascia dichiarazioni a sfavore del Rusconi, che solo ben più tardi si riveleranno false.
Il parrucchiere viene arrestato e rinchiuso in carcere dove rimarrà tre mesi, nonostante non vi sia alcuna prova concreto del suo coinvolgimento nel delitto.
Per sua fortuna le indagini successive portano a ben altri sviluppi, viene pertanto scagionato e scarcerato.
Si scopre che due mesi prima dell’omicidio in un locale, diciamo molto equivoco, situato in un edificio fra vicolo San Cristoforo, oggi via Ressi, e la contrada di San Lorenzo, oggi via Corridoni, due studenti Giuseppe Vanigotti e Vitaliano Larghi avevano avuto un plateale e pesante diverbio con la maitresse della casa, una certa Giuseppa Negri, detta l’ortolanina, che viene presa a schiaffi dal Vanigotti.
In difesa della Negri sopraggiunge l’amico Mauro Sola che, durante la rissa, rompe una bottiglia di birra sulla testa dello studente ferendolo.
Per l’aggressione il Sola viene rapidamente processato e condannato a scontare 15 giorni di carcere.
Le indagini stabiliscono che la Negri per vendicarsi dell’affronto subito e dell’incarcerazione dell’amico Sola, incarica due sicari, Camillo Aliprandi e Gaetano Gallarati di uccidere i due studenti, o almeno uno dei due se troppo pericoloso assassinarli entrambi.
Viene concordato un compenso di 16 marenghi, parte anticipato e parte a missione compiuta.
Della trama delittuosa è a conoscenza anche il brigadiere Fiore, legato dalla Negri da loschi interessi.
Tutti i probabili responsabili del delitto vengono arrestati e il 15 settembre dell’anno successivo inizia il processo presso la Corte d’Assisi del Tribunale di Pavia.
Dimenticavo: l’omicidio avviene nel 1861 e pertanto il processo si svolge nel 1862.
L’accusa sostiene che i due sicari si appostarono nell’oscurità e colpirono a morte lo Sforzini che passava per contrada San Tommaso per puro caso, scambiandolo per il Larghi, a cui lo Sforzini somigliava per fattezze. I due avrebbero voluto accoltellare anche il Vanigotti, ma lo studente era partito da Pavia il giorno precedente.
Il processo dura solo otto udienze, un vero e proprio tour de force rispetto alle lungaggini attuali della Giustizia e tutti gli imputati vengono ritenuti responsabili del delitto e condannati, nonostante non vi siano confessioni e neppure prove certe e schiaccianti.
La Corte condanna la Negri, l’Aliprandi e il Gallarati ai lavori forzati a vita, alla stessa pena per vent’anni il Sola, a tre anni di reclusione il Fiore, pene che verranno parzialmente ridotte in seguito a ricorso in Cassazione.
Storia finita? Macchè!
Come per certi fatti di cronaca nera dei giorni nostri, in cui la verità ha varie colorazioni e le sentenze nei vari gradi di giudizio ballano il tip-tap fra innocenza e colpevolezza, ecco il colpo di scena.
Dieci anni dopo, nel 1873, un individuo rimasto sconosciuto alle cronache, forse un portinaio di casa Lingiardi, in punto di morte confessa ad un sacerdote, liberandolo dal segreto del confessionale, di essere responsabile dell’omicidio dello Sforzini, accoltellato quel lontano 27 luglio 1861 per rivalità nell’amore di una donna.
Se ciò fosse vero, è possibile immaginare che per una banalissima fatalità, mentre l’Aliprandi e il Gallarati erano appostati in contrada San Tommaso in attesa del Larghi, l’uomo reo confesso anch’esso nascosto nel buio dei vicoli, abbia assalito e colpito lo Sforzini, poi dileguandosi per contrada del Pizzo in giù.
Probabilmente i due sicari, ben consapevoli di aver mancato l’obiettivo, per incassare il compenso promesso dalla Negri le fecero credere di aver agito secondo le istruzioni ricevute.
Un vero groviglio di ipotesi.
Cosa accadde veramente quella notte del 27 luglio 1861?
Come in tanti casi attuali irrisolti o che lasciano tanti dubbi, di certo rimane solo la morte del giovane Sforzini. Di chi fu la mano assassina?
Ezio Tiraboschi