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Dal cortile al capannone: ricordi di una Pavia che cambia di Ezio Tiraboschi

Un viaggio tra infanzia, famiglia e l’ascesa della BERGONZI spa, simbolo dello sviluppo industriale pavese.

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Fine anni 50. Nel primo pomeriggio mamma Maurina indossa il suo cappottino bianco e nero.E’ il segnale che stiamo per uscire. Scendo di corsa in cortile, saltando a due a due i gradini della scala del condominio di viale Lungo Ticino Sforza e ci avviamo verso il Ponte Coperto. E’ inizio primavera e un piacevole tepore avvolge la città. Sosta da Pampanin, allora in concorrenza solo con il mitico Signor Cesare di corso Garibaldi per la qualità del gelato. Semifreddo e crema, il cono più buono al mondo.... Mentre la leccornia finisce in parte in bocca e in parte su mani e giacchino, attendiamo l’arrivo del filobus verde, che, in arrivo da piazza Castello, ci porterà al di là del fiume, in Borgo. “Viaggio” non sempre veloce e senza intoppi.

All’altezza di piazzale Ghinaglia, a metà della curva per via dei Mille. Il meccanismo ad aste che assicura la corrente al mezzo di trasporto tramite una doppia linea aerea sospesa, si sgancia dai fili e .... Siamo fermi. L’autista, imprecando, ormai esperto della situazione, esce dal filobus, si arrampica quasi sul tetto e con un apposito lungo attrezzo riassetta il congegno e dopo pochi minuti si riparte.

Scendiamo alla fermata in prossimità dell’allora trattoria Francescon e ci dirigiamo in via Acquanegra per raggiungere un gruppo di villette, fra cui quella di zia Pierluisa, la sorella di mamma Maurina. Il marito Angelo ha da pochi anni aperto una officina meccanica artigianale collegata all’abitazione. Lì ci stanno aspettando i miei due cuginetti, Cesare, di poco più giovane di me e la sorellina Laura. Giochiamo nel cortile, mentre a pochi metri, dalle vetrate aperte dell’officina si distinguono i rumori dei macchinari in funzione. Siamo bambini un po' troppo esuberanti, tanto che più volte le mamme ci “recuperano” mentre, con le biciclettine, fuggiamo verso il ponticello che attraversa il Gravellone. spesso devono dividerci perché ci azzuffiamo per nulla, si fa merenda, si torna, prima di sera, in città. Zio Angelo a volte compariva dall’officina, salutava, tornava presto al lavoro, incuteva un certo timore, era il “capo”, dirigeva la “fabbrica”.

Qualche anno dopo quella piccola officina non è più adeguata al veloce sviluppo dell’attività e zio Angelo fa il grande passo. Fa allestire in pochi mesi una “enorme” struttura in strada Vigentina appena dopo l’edificio della Korting. Capannoni, uffici, un grande appartamento per la famiglia affacciato alla strada, una moderna taverna, garage, giardino, abitazioni per i custodi, la mensa per gli operai, portici, depositi che si allungano fino al termine di via Pollack. Nasce così la BERGONZI spa, che rappresenterà una delle attività industriali pavesi più importanti per decenni e che contribuirà a rendere la città uno dei poli imprenditoriali più importanti e sviluppati di tutta la Lombardia.

Zio Angelo costruisce trapani radiali, grossi macchinari, per me allora, misteriose strutture di ghisa dall’altrettanto indecifrabile utilizzo. Per noi piccoli discoli, quella grande struttura diventa subito una specie di enorme parco giochi. Quando le nostre famiglie si riunivano, cosa che capitava spesso e il complesso era deserto, per qualche festività o per ferie, quei capannoni, quegli spazi fra i macchinari diventavano una pista da percorrere a spron battuto con le biciclette, i cassoni di legno diventavano “montagne” da scalare, gli angoli nascosti erano occasione per combinare qualche piccolo guaio, i magazzini erano l’ideale per brevi esplorazioni ogni volta diverse.

Poi crescendo quegli angoli nascosti hanno avvolto la nostra consapevole prima trasgressione, accendere una HB con il filtro, sperando di rimanere impuniti, in seguito quegli spazi ci hanno consentito, senza i pericoli della strada, di imparare a restare in sella sui nostri “cinquantini”!, io su un Morini, Cesare su, non ricordo la marca, una, allora, vera bomba da cross e regolarità, appena regalatici da zio Angelo.

Qualche anno dopo la taverna diventa punto di ritrovo della compagnia, le prime feste, le prime ragazzine da avvicinare, il giradischi con i 45 giri del momento. E quanti classici pranzi con tutti i componenti della famiglia, nonni, zii, lontani cugini, nella grande sala, che per noi erano “arresti domiciliari” finchè non riuscivamo a togliere il disturbo e dedicarci alle nostre faccende, ovviamente sfruttando i soliti spazi del complesso industriale. Passano gli anni, passano i decenni, troppi decenni.

Oggi transito in strada Vigentina e quella struttura così familiare non c’è più, lasciandomi nel cuore una certa malinconia. E’ stata demolita pochi anni fa e oggi nell’area sorge un grande centro di vendita di materiale per il fai da te. Cesare se ne è andato, troppo presto, poco dopo l’abbattimento di quella che è stata la sua vita, il suo lavoro, la sua famiglia. Un ricordo personale che è anche un piccolo stralcio della storia industriale e sociale di Pavia.

EZIO TIRABOSCHI