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Burg-à-Bass: Memorie d’Acqua e di Vita sul Ticino

Il Borgo di Pavia tra lavandaie, tradizioni fluviali e storie di un tempo che profuma di robinie e miccone.

In collaborazione con Pavia Fanpage

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Burg-à-Bass Foto di Roberta Mastretta

Il Borgo, i Burgsàn e i lavandè

Il Borgo di Pavia, la fila di case che sembra un presepe tutto l’anno lungo l’azzurro del fiume.

Le strade di sassi, i boschi appena finite le ultime case, ricordi di fine scuola con le biciclette e le ragazzine a sentire le cicale e a prendere il sole con la lana dei pioppi e il profumo di robinie nell’aria.

Il Borgo del Dado che la sera ti faceva i panini con il miccone, il ferramenta con fuori le carriole e le catene, Ferrari e la sua signora Olimpia, la Minerva napoletana….

Il Borgo del Vul, delle piene, dell’acqua sulla strada di Burgh à Bass, delle trattorie e dei barcè.

Le antiche trattorie di una volta con i “pès in carpion” e i pesci di fiume.

Chi viveva sul fiume, i giarè e le mitiche “lavandere”.

Fino agli anni 60 le vedevi curve sui tavoli nella stagione invernale, portavano sul posto di lavoro un fornello a carbone di legna, a forma rotonda, appoggiato su quattro sostegni di ferro, nel quale si incastrava una caldaietta in cui era mantenuta calda, poco sotto l’ebollizione, dell’acqua che serviva per cancellare le macchie del sudiciume e per dare un po’ di refrigerio alle mani intirizzite dalla immersione quasi continua nell’acqua ghiacciata.

Estate e inverno queste lavoratrici portavano in capo un fazzoletto a scacchi o la caplina di paglia, generalmente di colore nero; la gonna, a mezza gamba o fin sul ginocchio, era trattenuta da un cordone o da una fettuccia; il corsetto della stessa stoffa della gonna molto aderente.

Ogni lavandaia del Ticino aveva nella propria abitazione, sistemata accanto alla cucina, la cà dal bügà costituita da uno squallido stanzone ove si facevano le prime operazioni del bucato, con una grossa caldaia di ferro o di rame ove l’acqua veniva portata all’ebollizione;

e vi erano barili e botti segati e mastelli in cui la biancheria era posta a macero.

Il lavaggio vero e proprio con la rasentada si faceva al fiume: il lavoro in casa veniva affidato agli uomini anziani o ai giovanetti.

La biancheria così lavata, era poi messa ad asciugare nella stufa, un locale adiacente alla cà dal bügà, un ambiente surriscaldato; se la stagione o il maltempo non permettevano di stenderla sui fili metallici o le cordate sostenute dai pali di legno o di ferro, disposte sui prati adiacenti o sugli argini.

Le lavandaie più numerose e più accreditate erano quelle che svolgevano il loro lavoro sulla riva sinistra del fiume, cioè sulla sponda, dirò così, cittadina, mentre le borghigiane erano piazzate sulla riva destra a distanza dai fabbricati.

Le lavandaie borghigiane, oltre la prestanza fisica, l’eloquio… fiorito, astemie di acqua di fonte, ma bevitrici gagliarde di vino e di liquori, erano intelligenti e furbe e non di rado andavano a scegliere il marito fra quei giovanotti studenti che passavano e ripassavano davanti a loro in barca, apostrofandole insolentemente, con botte e risposte.

Lanciando i loro lazzi e le loro minacce, le vecchie lavandaie si levavano irose in piedi sullo scagn e tendevano i pugni verso i giovani scapestrati; mentre quelle giovani ridevano e pur partecipando alla zuffa orale, non riuscivano a nascondere la simpatia per quei ragazzoni.

Quando poi si portavano in città per la consegna della biancheria lavata, alle poste, cioè ai clienti, coi voluminosi fagotti ammucchiati sul carrettino o portati anche in testa, si mettevano in ghingheri e non apparivano più le vecchie sperlusade canterine e insolenti, ma donne quasi eleganti, simpatiche, pur non rinunziando alla loro aria spavalda.

Passando davanti al Demetrio, quadrivio di adunata e di sosta di tutti i cittadini e degli studenti, fulminavano i giovani con delle occhiate cariche di ira:

di rado era affidato alle giovani di servizio e di consegna, ma qualcuna di esse, che per eccezione accompagnava la madre, la zia o la vicina troppo indaffarata, guardavano in faccia arditamente i giovani, ma con tutt’altra espressione: e i giovani erano pronti di intuizione e sempre avidi di sorrisi.

Fabio Greggio per Pavia Fanpage 2017