Supplì in armatura: come il fritto italiano è diventato una gara di croste eccessive
Dalla leggerezza di una volta alle panature multiple di oggi: perché stiamo trasformando il fritto in una corazza che soffoca sapori e semplicità.

Siamo ufficialmente entrati nel regno delle panature extralarge. Non saprei indicare il momento esatto in cui sia avvenuta la mutazione, ma negli ultimi anni il fritto all’italiana sembra essersi trasformato in una sfida a ostacoli. La parola d’ordine non è più equilibrio, ma resistenza: più la crosta è spessa, più viene considerata un trofeo da esibire.
Prendiamo il supplì, simbolo della romanità di strada. Un tempo era un boccone asciutto, sottile, con una frittura discreta che lasciava parlare il ripieno. Si apriva con le mani, in un gesto quasi affettuoso. Oggi invece arrivano in tavola dei veri e propri proiettili: forme allungate, corazze infinite, strati via via più pesanti di farina, uovo e pangrattato ripetuti all’infinito. Una tripla, quadrupla barriera che non protegge: soffoca.
E mangiare un fritto in pizzeria è diventato un’operazione chirurgica. Niente più morsi spontanei: bisogna tagliare con cautela, stare attenti a non perdere il ripieno, evitare che il sugo scivoli via, mentre la panatura si sbriciola come un muro vecchio. Intanto, nessuno sembra lamentarsi. Anzi, è quasi una competizione: “Il mio è croccantissimo”, “Il mio resta duro per mezz’ora”. Come se l’involucro fosse l’unica cosa che conti.
In molte pizzerie poi il fritto è proprio sbagliato: unto, flaccido, pesante. Capisco il tentativo di correre ai ripari con panature rinforzate, ma l’esagerazione non salva nulla. Significa solo sostituire un errore con un altro. Che il problema sia l’olio o il guscio, il risultato è lo stesso: il fritto perde identità.
E la tristezza aumenta quando i ripieni sono invece ottimi. Un riso curato, un sugo equilibrato, una frittatina ben congegnata… e poi, tutto viene annullato da una corazza che pretende di essere protagonista. È come ascoltare una sinfonia con dei tappi nelle orecchie: percepisci il ritmo, ma non la bellezza.
Per non farsi mancare nulla, c’è chi serve questi fritti ipermuscolati su letti di creme e salse. Il crack della panatura dura pochi secondi: poi la crosta crolla, impregnandosi come una spugna. Game over.
E allora mi torna la nostalgia del supplì di un tempo: quello che scottava un po’, che sporcava le dita, che si divideva senza sforzo. Di fronte ai fritti blindati di oggi, mi sento quasi in colpa a desiderare una cosa così semplice. Forse non è colpa loro: li abbiamo costretti a “performare”, a essere esagerati, a fare scena. Ma il piacere del fritto, come la sua crosta, dovrebbe essere fragile. Perché solo ciò che è fragile riesce davvero a emozionare.